Dio ci prova attraverso l'esperienza

Testi: Esodo 2:1-15; Atti 9:1-9; Romani 8:28

Credo sia capitato a tutti noi di fare qualcosa di cui poi ci siamo pentiti;

qualcosa che nonostante i nostri sforzi per farla bene, non ha dato i risultati sperati o ne ha dati di molto inferiori alle nostre aspettative.

Nella vita di noi tutti ci sono tante occasioni che reputiamo perdute o mancate;

le opportunità che ci siamo lasciati scappare;

le cose che abbiamo inutilmente cercato di fare e dopo, a mente serena, ci siamo domandati “perché l'ho fatto? Perché ho perso tempo in quel modo”.

Così nascono i rimpianti per non aver fatto un'altra scelta e i rimorsi per averne compiute di sbagliate.

Poi ci sono le delusioni;

anche queste sono un segno che qualcosa che abbiamo fatto, magari con tanto impegno, non è servito a raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissati.

Gli esempi da citare sono davvero tanti:

c'è chi ha studiato una vita per prendersi un diploma o una laurea e poi si è trovato a fare un lavoro non qualificato, perché a causa della crisi è l'unico che è riuscito a trovare;

c'è chi ha fatto tanto per aiutare una persona, e questa poi se n'è andata senza neppure un grazie o gli ha voltato le spalle nel momento del bisogno, mostrando tutta la sua ingratitudine; 

c'è chi ha messo tutto sé stesso per salvare il proprio matrimonio e la sua famiglia e un bel giorno si è ritrovato solo è in mezzo alla strada.... e così via.

Noi siamo naturalmente portati ad agire in vista di un fine da raggiungere o uno scopo da conseguire e giudichiamo le nostre azioni in base al conseguimento o meno degli obiettivi che ci siamo dati.

Se raggiungiamo il nostro obiettivo o conseguiamo il nostro scopo, giudichiamo positiva l'azione che abbiamo compiuta per raggiungerlo, viceversa se falliamo nel suo raggiungimento giudichiamo negativa anche l'azione che abbiamo compiuta.

Raramente però ci soffermiamo a riflettere sull'azione stessa.

Raramente riflettiamo sul concetto di viaggio, di percorso, di cammino;

quando noi iniziamo un viaggio per andare da un luogo ad un altro, tutta la nostra attenzione si concentra sul luogo di arrivo, considerando il viaggio un semplice “mezzo” per ottenere un fine;

il più delle volte invece è proprio il viaggio stesso ad essere la cosa che conta di più, perché è importante non solo dove arriviamo ma anche “come ci arriviamo”.

Noi credenti abbiamo un fine, una meta molto importante da raggiungere: la vita eterna nei cieli col Signore;

però per raggiungere questo importante traguardo dobbiamo per forza passare attraverso una serie di prove, esperienze e maturazioni spirituali, che sono poi le diverse tappe della nostra vita terrena.

Nessun uomo nasce oggi per subito morire domani e raggiungere così la meta finale in un batter d'occhio, così come nessuno va a scuola oggi per diplomarsi subito domani;

la vita, così come la scuola, è un lungo e impegnativo sentiero formativo che dobbiamo percorrere interamente perché abbia un senso;

è il nostro viaggio che ci conduce alla meta, senza il quale però, anche la meta perderebbe il suo significato.

Se il Signore avesse voluto, ci avrebbe fatti nascere direttamente nel Regno dei Cieli, come angeli, già perfetti, invece lui ha scelto per noi uomini e donne un cammino ben diverso.

Tuttavia, quando noi vediamo la meta molto lontana è normale concentrarsi sulle cd “tappe intermedie” e valutiamo il successo del nostro viaggio in base al raggiungimento di questi piccoli traguardi;

così ci rallegriamo se nostro figlio trova subito un buon lavoro, mentre ci doliamo se lo vediamo cercare inutilmente e ricevere tante porte in faccia;

ci compiacciamo quando un fratello o una sorella accolgono il Signore nel loro cuore ed entrano a far pare della nostra Chiesa, mentre ci dispiacciamo quando qualcuno si ferma per strada o ci abbandona per andare da qualche altra parte...

Ripeto, questo modo di pensare è normale e molto umano;

così facendo però, quasi mai ci rendiamo conto che anche queste “battute d'arresto” fanno parte del percorso di vita che Dio ci ha destinato, senza le quali noi non impareremmo a compiere la volontà di Dio ma faremmo soltanto la nostra propria volontà.

Nel primo brano di oggi incontriamo Mosè, che fino a quarant'anni ha vissuto come un egiziano alla corte del Faraone, prima di diventare la guida d'Israele;

se noi ci limitassimo a guardare allo scopo finale per il quale Dio ha mandato Mosè, cioè per condurre il suo popolo alla terra promessa, potremmo pensare che quei quarant'anni passati a vivere secondo lo stile di vita degli egiziani alla corte del faraone, fossero tempo perso, o addirittura un periodo negativo, perché in quel frangente Mosè non sembrava servire Dio, bensì le divinità egizie cui sicuramente rendeva culto insieme alla sua famiglia adottiva;

non stava certo facendo l'interesse del suo vero popolo, Israele, poiché come Principe d'Egitto sicuramente anche lui sfruttava gli schiavi ebrei come tutti gli altri egiziani.

Insomma se noi guardiamo soltanto al fine ultimo di Mosè, quei quarant'anni passati alla coorte d’Egitto, sono stati una perdita di tempo, un rammarico, uno spreco …

ma non è così agli occhi di Dio! Perché era necessario che Mosè compisse prima quell'esperienza affinché fosse poi pronto a fare la volontà di Dio.

Nel secondo brano, che tutti conosciamo come la conversione di Paolo, vediamo un altro esempio di come, a volte, Dio faccia compiere ai suoi servitori un percorso molto tortuoso per provarli, per forgiare il loro cuore, per mettere alla prova la loro fedeltà.

Paolo era un fariseo, un ebreo fervente che conosceva la Scrittura e onorava Dio alla maniera degli ebrei, cioè rispettando la Legge di Mosè in tutte le sue parti; (Flp 3:5-6) “Io, circonciso l'ottavo giorno, della razza d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d'Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”.

Cosa impediva al Signore di chiamarlo così com'era, come ha chiamato tanti altri discepoli al servizio del suo Evangelo?

Invece Dio ha voluto che prima di servire l'Evangelo, Paolo lo avversasse e lo combattesse con tutte le sue forze, convinto di fare la cosa giusta, così come era convinto Mosè quando viveva da Egiziano oppressore degli ebrei.

Mosè e Paolo, tra tutti gli uomini, sono i più grandi testimoni della volontà di Dio, rispettivamente del Vecchio e del Nuovo Testamento;

Ora io non credo sia un caso che Dio li abbia scelti proprio fra i suoi nemici, tra coloro che prima lo avversavano.

Se noi giudichiamo la cosa con i nostri occhi, potremmo pensare che Dio abbia scelto per loro una strada troppo lunga da percorrere, inutilmente faticosa, o addirittura cattiva, perché li ha portati a servire il Male prima di comprendere la gloria e l'amore di Dio;

ma era veramente così?

Che cosa impediva a Dio di chiamare subito Mosè e Paolo?

Nulla, ma se lo avesse fatto, forse loro non avrebbero compreso veramente la gloria e l'amore di Dio che soltanto un cammino lungo e talvolta anche doloroso, ricco anche di esperienze negative, ci può formare.

Quello che per noi uomini può sembrare un incidente di percorso, una deviazione dalla nostra meta, ecco che agli occhi di Dio diventa l'esperienza cardine della nostra stessa vita di credenti.

“La pietra che i costruttori hanno rifiutata è diventata pietra angolare”, ci dice Mc 12:10 di Gesù Cristo;

allo stesso modo noi siamo le pietre che compongono la chiesa di Cristo.

Una pietra da sola, come lo è l'uomo che ancora non ha incontrato il Signore, ragiona in funzione di sé stessa solamente, ma una volta che il muratore l'ha presa per costruire l'edificio essa diventa parte dell'edificio e il suo ruolo cambia, così come la sua visione.

Ecco che ci sono pietre che sono state usate alla base del muro, altre sono servite per terminare il sottotetto, e quest'ultime all'inizio della costruzione forse sono apparse inutili, magari proprio perché inadatte alla costruzione delle fondamenta;

però non è così, perché il Signore sa dove, come e quando impiegarci;

lui ha chiaro il disegno della sua Chiesa, mentre noi spesso non lo abbiamo.

Noi a malapena crediamo di aver chiaro il disegno della nostra vita, ma ecco che quando incontriamo il Signore questo disegno muta radicalmente, e noi dobbiamo adattarci all'edificio del costruttore, e se necessario il costruttore ci scalpella e ci squadra affinché noi combaciamo perfettamente con le altre pietre che compongono l'edificio.

Perciò cari fratelli in Cristo, anche le esperienze che noi giudichiamo fallimentari, di cui abbiamo vergogna o rimorso, per il Signore sono invece dei passaggi fondamentali affinché noi diventiamo adatti alla sua Chiesa.

Quando Mosè è stato chiamato da Dio a servirlo per condurre il suo popolo, sicuramente avrà avuto dei rimorsi per quanto aveva fatto quando era ancora al servizio del faraone;

pensiamo all'episodio dell'egiziano ucciso;

avrà avuto dei rimpianti, o dei dubbi per quanto aveva fatto o non aveva fatto negli anni passati alla corte d'Egitto, ma Dio gli ha mostrato che il suo passato non era una sua volontà, ma rientrava nella superiore volontà di Dio.

Lo stesso dicasi per Paolo; quanto gli sarà pesato il sangue dei cristiani che aveva fatto mettere a morte, suoi fratelli di fede?

Eppure Dio lo ha scelto lo stesso, lo ha scelto proprio per questo.

Allora, anche tutte le nostre esperienze, comprese quelle che noi giudichiamo negative, riprovevoli, dolorose, o quando va bene, delle inutili perdite di tempo, sappiamo che il Signore ce le ha fatte fare affinché noi fossimo pronti per il suo Regno.

Come ci è confermato in Ro 8:28 “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.”.

Sta a noi dunque saperle vivere non in funzione dei nostri piccoli obiettivi umani, cioè spesso in maniera negativa, perché non coronati da successo secondo in nostri parametri di giudizio, ma secondo il grande disegno di Dio che ci dona tutta la necessaria esperienza affinché noi siamo pronti per il suo progetto, per entrare come pietre tagliate, squadrate e levigate nel suo edificio, e come suoi figli amati nel Regno dei Cieli. AMEN