Dio vede e provvede
Testi: Genesi 22:1-8; Proverbi 3: 5-6
Gli uomini di ogni tempo hanno sempre posto l’accento sui loro bisogni, immediati e futuri; si sono dati un gran da fare per farvi fronte, per procurarsi il cibo e il calore, le necessità più immediate, quindi hanno pensato alla sicurezza loro e della loro famiglia, poi, soddisfatti i cd. “bisogni primari”, hanno posto la loro attenzione ed il loro desiderio al soddisfacimento dei cd “bisogni secondari”, quali il miglioramento della loro posizione economica e sociale e quindi la loro personale realizzazione.
Tutto questo però, il più delle volte, l’uomo lo ha fatto contando soltanto su sé stesso, o al massimo facendo affidamento sull’aiuto dei suoi parenti e degli amici più intimi, perché era, ed è, diffuso convincimento che l’uomo alla fine è l’unico vero artefice di sé stesso, del suo successo, della sua realizzazione.
Purtroppo, non sempre le cose vanno come l’uomo desidera, così come si era proposto di ottenere a seguito delle sue azioni, perché spesso, nonostante i suoi sforzi, i risultati delle azioni umane sono diversi da quelli sperati; è a questo punto che l’uomo si ricorda e si appiglia, a giustificazione dei suoi fallimenti, alla cd “sorte avversa”. La sorte diventa qualcosa contro cui l’uomo stesso non è in grado di lottare perché, superiore alle sue forze e anche al di là della sua comprensione, sia essa una malattia o un lutto improvviso, un tracollo lavorativo o finanziario, una crisi famigliare inattesa o quant’altro di brutto e imprevisto cade sulla testa dell’uomo come la famigerata “tegola”.
È in questo momento che l’uomo “artefice di sé stesso” si rende conto di quanto poco possa fare per cambiare il suo destino, di quanto il suo destino stesso sia ben lungi dall’essere sotto il suo controllo, e così, a sue spese, apprende che non è lui ad essere artefice del suo destino, bensì qualcun altro!
La Bibbia ci rivela chi è questo qualcun altro, ossia il vero artefice del destino di ogni singolo uomo, sia esso credente oppure non credente: Dio!
L’uomo non credente, purtroppo, prende coscienza di questa verità soltanto quando ci sbatte contro la testa e se la frantuma;
per il credente le cose stanno diversamente, o almeno così dovrebbe essere, perché, purtroppo, molto spesso la realtà ci parla altrimenti.
Essere credenti non significa soltanto credere che esista Dio, e quindi preso atto di questa realtà soprannaturale, continuare a vivere la propria vita come se la presenza di Dio, nell’alto dei cieli, non dovesse mai interferire con la nostra quotidianità terrena.
Essere credenti significa vivere la propria vita in continua comunione col Signore, condividendo con lui ogni momento, ogni pensiero, ogni decisione e ogni azione da queste conseguenti.
Dio non è un estraneo, o al più un vicino di casa che possiamo lasciare fuori dalla porta dopo averlo salutato domenica mattina al Culto! No Dio è più di nostra moglie, di nostro marito, di nostro padre, di nostra madre e dei nostri figli messi insieme (“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. Mt 10:37); Dio è il parente più stretto che abbiamo, è l’amico più intimo e sincero che abbiamo, è il collega o il socio di lavoro con cui concordiamo ogni nostra azione o proposito per il presente e per il futuro.
Chi tratta Dio in modo diverso da così, non solo non è un “vero credente”, ma di fatto non ha capito nulla di cosa voglia dire “credere nel Signore”!
Nel primo passo della Scrittura proposto oggi troviamo Abramo che si incammina sul monte per sacrificare suo figlio Isacco su ordine del Signore; Isacco, ancora giovane, non ha compreso il vero scopo di questo viaggio. Sa che per fare un olocausto ci vuole un animale, ma non vedendolo chiede ingenuamente, ma anche razionalmente, (ecco l’uomo razionale che ragiona senza Dio), “ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”. Abramo però, il credente che opera secondo la volontà di Dio al di là di ogni umana ragione e comprensione (questa si chiama appunto FEDE!) gli risponde: “Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto”.
Troppo spesso noi credenti non riponiamo in Dio quella fiducia della quale Lui ha bisogno per operare. La nostra vita dovrebbe essere condivisa totalmente con il Signore, ponendoci nelle sue mani in ogni situazione, sapendo che Egli provvederà per essa, al nostro sostentamento e alle nostre necessità.
Questo, sia chiaro, non vuol dire che noi dobbiamo stare con le mani conserte e vivere pigramente, aspettando così un improbabile aiuto dal cielo. Dio non opera in questo modo (quello dei fatalisti), perché Lui vuole degli operai attivi che operino secondo i Suoi comandamenti. È quindi chiaro che l'aiuto di Dio non ci deve indurre a non occuparci delle faccende di ogni giorno ma, al contrario, ci deve dare la forza di sapere che in qualunque situazione noi ci veniamo a trovare, Dio è al nostro fianco pronto a darci quello di cui abbiamo bisogno, se noi ovviamente abbiamo condiviso con lui i nostri propositi e fatti nostri i suoi.
Il secondo passo proposto oggi: “Confida nel SIGNORE con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie ed egli appianerà i tuoi sentieri” è la vera e propria summa di quale debba essere il rapporto tra Dio e il credente, affinché funzioni al cento per cento; è il concretizzarsi della promessa di Dio verso di noi, e la perfezione cristiana che noi possiamo raggiungere già qui sulla terra, come diceva John Wesley, e che ovviamente non consiste nel non essere più peccatori (non peccare più), bensì nel riconoscerci peccatori davanti a Dio e rinunciare al nostro IO razionale per accettare in toto il suo perdono e quindi la piena comunione con il Signore Gesù Cristo, raggiunta la quale possiamo dire con le parole dell’Apostolo Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Gal 2:20) AMEN