Evangelizzazione o proselitismo?

Testi: Luca 15:8-10

 

Evangelizzazione o proselitismo? Capita talvolta che quando una chiesa è impegnata nell’opera di evangelizzazione si sente rivolgere dalle altre chiese l’accusa di fare del “proselitismo” nei confronti dei fedeli delle altre denominazioni, e quest’accusa (o presunta tale) finisce talvolta per arrestare la spinta evangelizzatrice delle chiese, o almeno di quelle chiese “storiche” che vuoi per pigrizia, vuoi per un malinteso senso di “politically correct”, hanno smesso così di fare anche evangelizzazione.

Per affrontare questo tema delicato voglio partire dalla mia realtà ed esperienza, quella di membro di chiesa di una Chiesa storica (Metodista), che un tempo faceva evangelizzazione: perché era la cosa più naturale per una chiesa, perché era nel suo DNA di Chiesa figlia della predicazione di Wesley, perché...

Già, perché? Mi sono chiesto.

Perché ad un certo punto abbiamo smesso di fare evangelizzazione?

I motivi sono diversi; almeno quelli che ho potuto riscontrare negli ultimi trent'anni, da quando da ex cattolico, da credente smarrito, ho deciso di entrare in una chiesa evangelica, quella che il Signore mi ha fatto conoscere, ossia quella Metodista.

Il motivo più generale, e da sempre evidenziato da più parti, è la progressiva laicizzazione della società europea che ha svuotato le chiese storiche (sia protestanti, sia cattolica);

questo ci può stare, tuttavia, non spiega perché di fronte alle difficoltà del momento le chiese storiche abbiano rinunciato ad evangelizzare.

Un'altra spiegazione che riguarda la Chiesa Metodista italiana in particolare, è la conseguenza della scelta fatta allorché si è presentato il progressivo declino del sentimento religioso nella società italiana, (durante gli anni 60 e 70), con il conseguente svuotamento delle chiese.

La cosa più ovvia da fare per una chiesa attiva e fervente, sarebbe stata quella di intensificare gli sforzi nella diffusione della Parola, invece si è scelto la soluzione più facile: l'unione con la Chiesa Valdese.

Ora, i fratelli valdesi sono certamente dei buoni cristiani evangelici, ma se c'è una cosa che manca nel loro DNA, è proprio la voglia e la propensione ad evangelizzare!

Bisogna capirli; chi per tutta la sua lunga storia è stato perseguitato, costretto a fuggire e a nascondersi a causa delle minacce sempre incombenti, non ha certo sviluppato una predisposizione a scendere nelle piazze per far sentire la propria voce, ossia la voce del Signore.

Il Patto d'Integrazione (che ha recentemente compiuto i 40 anni), se da un lato ha dato momentaneo sollievo alla Chiesa Metodista Italiana, ormai ridotta a numeri d'estinzione, dall'altro, però, gli ha fatto perdere la sua naturale forza di “chiesa missionaria”, volta alla diffusione della Parola, senza preoccuparsi troppo delle formalità istituzionali.

Dove sono finiti i predicatori metodisti itineranti di un tempo?

Ormai sono una specie estinta (almeno in Italia); rimangono si e no quelli formati dal corso a distanza della facoltà Valdese, che a fatica riescono a coprire le sedi pastorali vacanti nei Circuiti, e non perché siano pochi, ma perché a volte spostarsi fuori dalla propria chiesa, costa troppa fatica. Non parliamo poi d'andare ad evangelizzare tra la gente, tra gli ultimi, nei luoghi dove Dio non c'è, e quindi dove nessuno sembra volerne sentir parlare...

Che dire poi dei Pastori con tanto di blasonata laurea della facoltà? Certamente sono degli ottimi teologi, dei validi professori, che tra una conferenza e un impegno in qualche commissione ecclesiale, trovano anche il tempo di fare un po' di cura d'anime, ma di evangelizzare non se ne parla proprio!

Mi chiedo se alla facoltà ci sia un corso in cui si insegna ai futuri pastori come si fa ad evangelizzare tra i non credenti? La risposta purtroppo già la conosco ed è: No!

Allora la prima ragione per cui nelle nostre Chiese storiche non si fa evangelizzazione è molto semplice: non c'è più nessuno che sia capace di farla!

Abbiamo perso questa capacità, e per questo lasciamo che siano le altre chiese (Evangelicali) a farla, tra gli ultimi, gli immigrati, i carcerati, gli esclusi della società.

Al massimo noi ci occupiamo dell'aspetto sociale dell'evangelizzazione, ossia cerchiamo con le nostre opere di fare qualcosa per il prossimo (l’accoglienza degli immigrati è l’esempio più attuale), però aspettiamo che sia lui (il nostro prossimo), a chiederci di Cristo; e solo se insiste nel voler conoscere la Parola, solo allora, timidamente ci azzardiamo a parlargli del nostro Salvatore, quasi ci vergognassimo di parlare dell'Evangelo, per non offendere la coscienza e la sensibilità di chi non ha la nostra stessa fede, o di chi non la pensa come noi.

Così abbiamo coniato il termine: “proselitismo”, quella brutta parola che non vorremmo mai usare; intimamente diciamo a noi stessi che noi siamo migliori degli altri, perché vogliamo lasciare libertà di scelta a tutti, ma la verità è che noi evangelici storici ci nascondiamo dietro questa parola per non dover mostrare la nostra incapacità di comunicare Cristo e l'Evangelo al mondo, in un modo che vada al di là del puro concetto intellettuale di fede cristiana!

Fin qui il quadro è già molto sconfortante, ma purtroppo c'è di peggio. Fosse soltanto la nostra incapacità d'evangelizzare a frenarci dal farlo, ci sarebbe sempre un facile rimedio: basterebbe imparare da qualcuno che lo sa fare bene, ed apprendere le tecniche necessarie.

Il problema purtroppo è più grave: noi (Chiese storiche) non evangelizziamo più perché non abbiamo più nulla da dire a chi ancora non conosce Cristo!

Sembra paradossale, ma è così;

io posso trasmettere Cristo al mio prossimo soltanto se ho Cristo nel mio cuore, se lui ha cambiato la mia vita al punto che il suo amore non mi permette più di non amare il mio prossimo come me stesso e di condividere con lui la gioia che l'Evangelo mi da ogni giorno della mia vita.

Non dico nulla di nuovo quando affermo che, avendo ricevuto una buona notizia non sto più nella pelle e devo condividerla con chi mi sta vicino, affinché anche lui si rallegri con me. Come è detto nella parabola della dramma ritrovata, dove la donna chiama le sue amiche per comunicare e condividere con loro la sua gioia (Lc 15:9)

Chi ha veramente Cristo nel suo cuore non può fare a meno di condividerlo con gli altri;

purtroppo chi non ce l'ha, o crede soltanto d'avercelo, non sente alcun bisogno di fare questo, e si limita a starsene seduto solo, o con il suo ristretto gruppetto di amici, senza però avere alcuna lieta novella da condividere con gli altri.

Questa sembra essere la situazione delle Chiese storiche; che assomigliano ormai a tante case di riposo dove vivono degli anziani credenti che si compiacciono vicendevolmente ricordando le passate glorie giovanili, guardando nello stesso tempo con molta sufficienza le nuove generazioni (le Chiese Evangelicali), che nel loro giovanile entusiasmo commettono anche molti errori, ma che sono gli stessi errori che un tempo commettevano le Chiese oggi storiche.

Errori che però ci hanno permesso di crescere e migliorarci, almeno fino a quando ci siamo lasciati “guidare” dalla Parola del Signore, piuttosto che “frenare” dalle regole che la tradizione umana ha creato nel corso degli anni (vedasi “ecumenismo”, “politically correct”, etc).

A questo punto dovremmo cercare una soluzione. Ce ne sono?

Io credo di sì!

Il nostro Signore Gesù Cristo non ci abbandona quando lo cerchiamo, non ci lascia senza l'aiuto necessario, anzi, lui l'aiuto ce lo sta già inviando, ora sta soltanto a noi accoglierlo.

Migliaia di fratelli e sorelle evangelici stanno giungendo in Italia dall'Africa, dall'Asia dall'America; tutti credenti il cui fervore è sinceramente rivolto al Signore, e il cui cuore è pieno di zelo ed ardore, lo stesso zelo ed ardore che avevano i missionari europei quando nei secoli scorsi andavano a portare la Parola in questi paesi, forse con metodi per noi oggi discutibili, ma ormai abbiamo imparato che se quei metodi oggi non sono più adatti, certo la Parola è sempre valida.

Adesso, in questa ondata di evangelizzazione di ritorno, possiamo “noi” riscoprire cosa significhi credere con tutto il cuore in Dio, nel senso di affidare le nostre vite completamente a lui, e metterci nelle sue mani, non solo nel momento del bisogno, ma anche e soprattutto quando le cose ci vanno bene.

Dai nostri fratelli e sorelle africani, asiatici, e sudamericani io credo che noi abbiamo molto da imparare;

ormai da qualche anno loro rappresenteranno la maggioranza dei credenti evangelici in Italia, non dobbiamo fare altro che imparare noi (umilmente!) da loro.

Piuttosto di voler essere noi ad insegnare loro, a tutti i costi, come si diventa “grandi teologi”, impariamo prima da loro come si diventa “umili credenti nelle mani del Signore”, e vedremo come le nostre Chiese storiche torneranno a riempirsi, e noi stessi torneremo a condividere Cristo con il nostro vicino, in un gesto d'amore, perché, evangelizzare vuol dire semplicemente: “condividere l'amore di Cristo con il nostro vicino”. AMEN