Gesù ci parla del Padre

Testi: vv citati

 

La domanda che vi pongo oggi è un po' inusuale, ossia: qual era il rapporto di Gesù con suo padre? Intendo con il suo Padre Celeste, non con Giuseppe, il suo padre umano.

Cosa ci dice la Scrittura in proposito?

Cosa ci dice Gesù stesso, visto che senza dubbio tra tutti Lui era certamente quello che meglio lo conosceva (Mt 11:27): “…nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”.

 

Cominciamo a vedere come l’umanità ha conosciuto Gesù;

qui scopriamo che prima di Lui noi abbiamo conosciuto il Padre, poiché la Scrittura (Antico Testamento) ci parla di Dio Padre, prima nel giardino di Eden, poi quando si è presentato a Mosè sul Sinai (Es 3:14): “Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "l'IO SONO mi ha mandato da voi"»”, e abbiamo così conosciuto anche il suo nome YHWH, l’IO SONO, il nome di Dio che per rispetto gli Ebrei non pronunciano mai.

 

Ma poi scopriamo che per tutto l’AT non si parla mai esplicitamente del “Figlio di Dio”, tanto che gli Ebrei erano, e sono tuttora, fortemente convinti che Dio Padre non abbia alcun figlio, poiché per l’ebraismo il Messiah, il figlio di Davide, o il Cristo di Dio che doveva venire per salvare il Popolo Santo, era soltanto un profeta ma non il Figlio di Dio.

Invece, con grande sorpresa di tutti, Dio manda proprio suo Figlio, Gesù Cristo, rivelando all’umanità che Lui non solo aveva un figlio unigenito, ma che suo Figlio esisteva già prima che ogni altra cosa fosse creata (Gv 1:1-3): “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta”. 

Da questo noi possiamo ben comprendere che tra Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio, sia intercorso un rapporto di affetto molto forte e duraturo, come potremmo aspettarci tra un genitore e un figlio, e che la decisione di Dio Padre di mandare sulla terra suo figlio Gesù Cristo, ben sapendo quale destino avverso avrebbe dovuto patire, sia stato per Lui una fonte di grande dolore, ma nonostante questo Dio Padre, avendo amato la sua creatura umana a tal punto, non ha esitato a sacrificare il suo unigenito figlio pur di ricondurla a sé.

 

Dio Padre presenta ufficialmente suo figlio agli uomini in occasione del suo battesimo (Mt 3:16-17): “Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall'acqua; ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: «Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto»”.

 

Possiamo immaginare l’orgoglio di un Padre che in quel momento affida al figlio l’incarico più importante della sua vita;

un padre che per tanto tempo, secoli e secoli, ha tentato di “far rigare dritto” una nazione ribelle come la primordiale umanità prima, e poi il Popolo Santo, cioè Israele, senza tuttavia ottenere il successo sperato, visto i continui tradimenti delle sue creature, Adamo in primis, poi il popolo prima del diluvio di Noè, e per finire a Israele con Mosè e tutte le dinastie dei re che si sono succedute prima della deportazione a Babilonia…

Attraverso Gesù Cristo, il figlio diletto, Dio Padre offre all’umanità “l’ultima chance di salvezza”, e quando dice: “«Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto»”, possiamo vedere le lacrime di commozione scendere sul volto di Dio Padre che lo osserva dal cielo, mentre Lui esce dall’acqua e inizia la sua missione tra gli uomini.

 

Come sappiamo la missione di Gesù Cristo tra gli israeliti è tutt’altro che facile;

la prima difficoltà che incontra è proprio la loro incredulità, la loro ostinazione nel rifiutare Gesù come Messiah, come il Cristo di Dio, e con loro si succedono innumerevoli confronti/scontri (Gv 8:57-58): “I Giudei gli dissero: «Tu non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abraamo?»  Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse natoIO SONO»”, e durante questi confronti accesi nascono le incomprensioni che poi segneranno il suo destino di agnello sacrificale sulla croce.

 

Però Gesù, a ben vedere, aveva tutte le carte in regola per diventare il Salvatore d’Israele essendo, secondo la genealogia umana, il discendente del re Davide, a cui Dio aveva promesso un regno eterno, tuttavia, Gesù si presenta al suo popolo con altri due titoli: figlio dell’uomo e Figlio di Dio!

I due titoli avevano un ben preciso significato, essendo Gesù vero uomo e vero Dio, riuniva in sé questa doppia natura, tuttavia, se definirsi figlio dell’uomo, per la sua ovvietà, poteva rappresentare una semplice stranezza agli occhi dei capi religiosi, che non avevano capito cosa significasse un tale titolo, definirsi invece Figlio di Dio era da loro considerato una vera e propria bestemmia, giacché per loro Dio non aveva figli e così dicendo Gesù, per loro un semplice uomo, bestemmiava perché si faceva uguale a Dio: (Gv 5:18) “Per questo i Giudei più che mai cercavano d'ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”!

 

Tutta la missione di Gesù sulla terra sarà una continua lotta con sacerdoti e farisei per dimostrare loro, attraverso segni potenti, che Lui era veramente il Figlio di Dio (Gv 5:19-21): “«In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non ciò che vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente. Perché il Padre ama il Figlio, e gli mostra tutto quello che egli fa; e gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne restiate meravigliati. Infatti, come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole”.

 

Così Gesù, quando opera tali segni potenti, dialoga con il Padre di continuo, affinché a tutti sia chiaro che Lui non opera da sé e per sé, ma che ogni cosa che fa, lo fa nel nome di Dio Padre, come nel caso della risurrezione di Lazzaro (Gv 11:41-42): “Tolsero dunque la pietra. Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato».

 

Come sappiamo, però, i cuori di coloro che meglio avrebbero dovuto conoscere la Scrittura e leggere in essa i segni della venuta del Messiah, sono stati resi duri e insensibili e nessuno dei segni potenti che Gesù operò a riprova della sua duplice natura, umana e divina, di figlio dell’uomo e di figlio di Dio, riuscì a convincerli.

Soltanto gli umili, la gente del popolo lo riconobbe (Gv 7:31): “Ma molti della folla credettero in lui, e dicevano: «Quando il Cristo sarà venuto, farà più segni miracolosi di quanti ne abbia fatto questi?»

 

Gesù come uomo sicuramente ne rimase molto addolorato di fronte a quello che ai suoi occhi doveva comunque rappresentare un fallimento della sua missione di redenzione degli israeliti, e tuttavia, da figlio ubbidiente, ma soprattutto attaccato a suo Padre, si rivolge a Lui in un comprensibile sfogo dicendo (Mt 11:25-26): “…«Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto”.

 

Certo che con i suoi discepoli, e in particolare con i suoi Apostoli, Gesù non si limita a mostrare loro dei segni inequivocabili sul fatto che Dio guida la sua mano e che le opere potenti che sta compiendo a profusione per tutta la Giudea, la Samaria, la Galilea e i territori circostanti, possono essere soltanto opere di Dio, ma con loro parla apertamente e rivela loro la verità sulla sua vera natura (Gv 10:30): “Io e il Padre siamo uno”!

 

Detto così sembra facile, ma voi vi immaginate cosa significava per un israelita, abituato a concepire Dio come l’essere supremo sopra ogni altra cosa, al punto che chi lo vedeva passare non poteva sopravvivere, sentirsi dire che loro stavano vivendo fianco a fianco con suo Figlio?

 

No, decisamente anche per loro non doveva essere facile accettare una verità così sconvolgente;

conviverci mentalmente, cosa che sarebbe molto difficile anche per noi oggi.

Provate a pensare che Gesù, che è presente con il suo Spirito in mezzo a noi riuniti nel culto, lo fosse anche in carne… sareste così tranquilli?

Per questo, nonostante i tanti segni miracolosi compiuti da Gesù di fronte a loro, anche i suoi Apostoli faticavano a crederci fino in fondo che Lui fosse veramente il Figlio di Dio, così, un po' ingenuamente gli chiedono ancora (Gv 14:8-11): “Filippo gli disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue.  Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle stesse opere”.

 

Beh, tutto sommato possiamo comprendere Filippo perché se per secoli dopo la risurrezione di Gesù i cristiani hanno dibattuto e si sono arrovellati il cervello nel tentativo di comprendere cosa fosse veramente la Trinità, arrivando ad una definizione soltanto approssimativa di Dio, giacché veramente la mente umana non è in grado di definirlo, se non quando tutto ci sarà rivelato, anche le parole di Gesù a Filippo devono essere suonate astruse, al punto da doverle accettare come parte del mistero di Dio.

 

Gesù però non vuole lasciare i suoi discepoli, presenti e futuri, nel dubbio sulla sua duplice natura, umana e divina, così un bel giorno decide di fargli davvero vedere suo Padre Celeste, e con la presenza di due testimoni autorevoli, in modo che non ci siano più dubbi su di lui (Mt 17:1-5): “Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo»”.

Dio Padre ancora una volta conferma di persona che Gesù Cristo è veramente suo Figlio; da buon padre interviene per dare il giusto aiuto all’amato figliolo, affinché la sua difficile missione abbia successo.

 

Quello che spesse volte a noi sfugge però, e il fatto che il rapporto tra Dio Padre e Gesù Cristo è continuo durante tutta la sua missione terrena;

potremmo essere indotti a pensare che, poiché Gesù era il figlio di Dio e quindi lui stesso Dio, non avesse bisogno di consultarsi costantemente con suo Padre per decidere cosa fare, invece i Vangeli ci testimoniano proprio il contrario (Mt 14:23): “Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo”.

Dopo un’intensa giornata di lavoro, lasciati per un po' i suoi collaboratori terreni, Gesù si ritira a pregare in disparte, ossia possiamo ben immaginare che la preghiera di Gesù col Padre fosse in verità una chiacchierata a due, dove Gesù si confrontava con Dio Padre per avere suggerimenti ma anche incoraggiamenti quando la situazione si faceva pesante, come accadde poco prima della sua passione, dove Gesù profondamente provato come uomo, come Figlio di Dio si confronta col Padre esternandogli tutta la sua umana debolezza (Mt 26: 39 e 42): “E, andato un po' più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi»….Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: «Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà»

Qui vediamo tutto il pathos che il forte legame tra un padre e un figlio, sia pure Dio, provano di fronte ad una morte che sarà fonte di un doppio dolore, fisico per Gesù uomo, e spirituale per Dio Padre…

 

Giunta infine l’ora del suo sacrificio, ben consapevole di ciò che lo attende, e altrettanto consapevole che Dio Padre è sempre al suo fianco, porta coraggiosamente a termine la missione per la quale è venuto, ma non come un prigioniero che non ha via di scampo e che quindi si rassegna a subire il suo triste destino;

no, tutto ciò che Gesù fa, lo fa consapevolmente per sua libera scelta, dopo essersi confrontato con Dio Padre, sicuro del suo sostegno fino in fondo, al punto di poter dire a Pilato, non senza una punta di sfida che gli proviene dalla sua natura di Cristo Figlio di Dio (Mt 26:53): “Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d'angeli?

 

Ma alla fine è ancora la sua natura di figlio dell’uomo che esce fuori, nel momento supremo del sacrifico, e da uomo si rivolge a suo Padre nell’ultima invocazione prima di portare a termine la sua missione salvifica (Mt 27:46): “E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?», cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»”

Ma questo ben lo sappiamo tutti noi che è il grido che ogni credente lancia nel proprio cuore poco prima di lasciare questo corpo e questa vita terrena, sicuri di un nuovo corpo e una nuova vita nei cieli al cospetto di Dio, ma che nessuno di noi nella nostra umanità, può trattenere, così come neppure il figlio di Dio, nella sua umanità fu in grado di trattenere. AMEN