Gli amici di Cristo
Testi: Giovanni 15:12-15
Cari fratelli in Cristo, quante volte vi è capitato nella vostra vita di riferirvi a Gesù Cristo come al “nostro comune amico”?
Abitualmente lo chiamiamo “Signore”, oppure “figlio di Dio”, o ancora, “il nostro personale salvatore”, il termine “amico” però, lo utilizziamo molto raramente, anche quando parliamo tra di noi di Gesù.
Quanto poi ad usarlo per testimoniare la nostra fede a un non credente, non se ne parla proprio; se usassimo l'espressione. “il mio amico Gesù Cristo”, sicuramente susciteremmo nel nostro interlocutore una reazione di sgomento e perplessità; e questo perché in ogni luogo, presso qualsiasi cultura, il rapporto tra uomo e Dio è sempre di sudditanza, se non di vera e propria sottomissione.
Anche nella Bibbia campeggia imponente il “timore di Dio”; Il Dio d'Abraamo, d'Isacco e Giacobbe, si era presentato al Popolo Eletto, sì come un Dio misericordioso, ma anche onnipotente e tremendo nel punire le mancanze degli uomini.
Temere Dio è stato dunque un sacro dovere di ogni credente per tutte le passate generazioni.
Poi però è venuto Gesù Cristo, figlio di Dio, ma anche figlio dell’uomo, e in questa sua duplice natura e veste, ai suoi discepoli ha rivelato una cosa meravigliosa, che non aveva precedenti nella storia umana: “non vi chiamo più servi... ma amici”.
È un evento veramente straordinario; talmente eccezionale che molti, ancora oggi, faticano a crederci e ad accettarlo, e quando dico questo, non mi riferisco a coloro che non hanno accolto Cristo nel loro cuore, bensì a tutti quegli uomini e donne, che, pur avendo creduto in Gesù Cristo, conservano però quel “timore reverenziale” che impedisce loro di diventare “amici di Cristo”, e quindi “amici di Dio!”
Qualche tempo fa ho compiuto un viaggio in Israele, e visitando Gerusalemme, la città santa per tutte e tre le grandi religioni abramitiche, sono rimasto molto colpito da una cosa che ho visto: l'atteggiamento che i diversi credenti avevano nei confronti di Dio.
Ho visto gli Ebrei genuflettersi e pregare di fronte al muro del pianto, tenuti a rispettare una precisa gestualità ed una serie di accorgimenti formali;
ho visto i Musulmani inginocchiarsi a terra in direzione della Mecca e seguire una scaletta cadenzata di orari di preghiera;
ho visto i Cristiani cattolici e ortodossi farsi innumerevoli volte il segno della croce e toccare i presunti luoghi della vita di Cristo in un pellegrinaggio rituale, condito da mille gesti, dal valore quasi scaramantico.
Una fede senz'altro profonda e sincera, ma che sembra doversi per forza manifestare in gesti esteriori per essere tale, come se la forma fosse più importante della sostanza.
Osservando tutto questo mi è tornata in mente la scena di un vecchio film dove i sudditi di un re, per chiedergli udienza, procedevano a testa bassa con una serie infinita d'inchini, e facevano lo stesso per congedarsi da lui, camminando all'indietro per non dare mai le spalle al re!
Allora mi sono chiesto: tutti questi uomini e donne, credenti, non conoscono il passo di Giovanni dove il Signore ci chiama “amici” e non più servi”?!
Chi di noi andrebbe a trovare un amico e si comporterebbe così?!
Ovviamente nessuno di noi!
Quando vado a visitare un amico, e lui mi accoglie in casa sua, lo saluto con un “ciao”, cui faccio seguire una stretta di mano o un abbraccio per sottolineare la gioia che provo nel rivederlo;
ad un amico posso dare una pacca sulla spalla, se è un vecchio amico che conosco da tanto tempo e con cui ho condiviso tante belle esperienze, ma quando mai gli farei un inchino?!
Penso che se lo facessi lui si offenderebbe pure e forse mi prenderebbe per pazzo!
Tanto è vero questo che noi evangelici, quando noi entriamo la domenica nel nostro luogo di culto, ci salutiamo fraternamente con una stretta di mano e delle parole di reciproco affetto, e così, allo stesso modo, salutiamo “il nostro amico Gesù Cristo”, senza genuflessioni e senza gesti rituali scaramantici, d'ostentata venerazione.
L'amore fraterno non solo è alla base del rapporto tra i credenti, ma anche e soprattutto è alla base del rapporto con il nostro Signore Gesù Cristo.
È vero che lui ci comanda di fare la sua volontà, ma allo stesso tempo ci dice che se noi facciamo come lui ci chiede, lui non ci tratta più come i suoi servi, che si devono inchinare davanti al loro padrone per timore reverenziale, bensì ci considera suoi amici, persone con cui condivide una piena comunione, senza più bisogno di inutili atteggiamenti formali.
Allora ripenso a quanto ho visto a Gerusalemme dove ebrei e musulmani, non avendo accettato e/o conosciuto Cristo, sono rimasti dei semplici “servi di Dio”, e non sono potuti diventare “amici di Cristo”, ma soprattutto ripenso ai fratelli cattolici e ortodossi che pur avendo conosciuto ed accettato Cristo, si ostinano a mettere ancora il “timore di Dio”, prima del suo amore, come si faceva nel Vecchio Testamento, e quindi a non accettare l'amicizia offertaci da Gesù Cristo. Così facendo però rimangono dei servi, sia pure servi fedeli, ma pur sempre servi, costretti perciò ad una serie di adempimenti formali che agli amici non sono più richiesti.
In questo sono orgoglioso di essere un evangelico!
A Gerusalemme ho visto soltanto una chiesa evangelica, luterana per l'esattezza, ed era spoglia e vuota, nessuna processione, nessun pellegrinaggio, benché fosse a pochi passi dal Santo Sepolcro, che invece brulicava di fedeli cattolici, ortodossi, maroniti, siriaci etc., tutti così “esteriormente devoti”.
Ovviamente non è un caso; prima di tutto noi evangelici non sentiamo alcun bisogno di costruire chiese sui presunti luoghi dove Gesù è vissuto e morto, perché Gesù lo portiamo nel nostro cuore; Lui è con noi sempre ed ovunque, e quindi anche laddove vi è una chiesa evangelica non potrebbe che essere un edificio vuoto, privo di ogni ornamento esteriore quando in esso non si celebra un culto.
Io credo però che molte volte noi evangelici ci dimentichiamo quale grande dono sia l'essere stati chiamati da Gesù Cristo “amici”, e non più servi!
Forse lo diamo per scontato e non ci facciamo più caso;
ma se così fosse, guardando ai fratelli cattolici e ortodossi che hanno scelto di rimanere “servi”, dovremmo tornare a rifletterci profondamente, perché l'essere amico è cosa ben diversa dall'essere servo, come Gesù ci fa notare: “perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio”.
Un servo si limita ad eseguire gli ordini ricevuti dal suo padrone, senza domandarsi il perché, a volte senza neppure capire o conoscere gli obiettivi del suo padrone; un amico fidato e sincero riceve spesso le confidenze più intime, ed è a conoscenza di cose che a volte possono essere così delicate da non potersi rivelare a nessun'altro.
Ad un servo è richiesto semplicemente di fare ciò che gli viene detto senza aggiungere o togliere nulla; ad un amico sono affidati compiti che spesso richiedono una forte discrezionalità, e conseguentemente d'assumersi anche delle responsabilità per decisioni che coinvolgono profondamente gli interessi del suo amico.
Quale onore ci ha fatto dunque Gesù Cristo nel chiamarci amici; ma anche quale onere e responsabilità ci ha affidato!
Noi cristiani evangelici siamo coloro che hanno accettato questo dono e quindi anche la responsabilità che ne consegue; dobbiamo perciò impegnarci costantemente per esserne sempre all'altezza!
Certo guardando i nostri numeri, specie in Italia, la cosa può far sorridere, eppure non è il numero in sé degli amici ad essere importante, bensì la qualità dell'amicizia.
Non voglio qui essere presuntuoso ripetendo la nota massima: “meglio pochi, ma buoni”, non è questo il significato del mio discorso, anche se tutti noi siamo grandemente compiaciuti dell'amicizia di Cristo. Dobbiamo piuttosto guardare al compito che ci aspetta in quanto tali.
La nostra testimonianza di cristiani evangelici, data tra gli altri fratelli cristiani e nel mondo laico è quanto mai importante a prescindere dai nostri numeri.
Cristo ci affida un compito di testimonianza in parole ed azioni che è diverso da quello che ha affidato agli altri, suoi servi;
per questo la nostra voce di cristiani evangelici, ossia di amici di Cristo, deve continuare ad essere udita, perché ha un suo ruolo insostituibile nella diffusione della Parola, specie in questi giorni di oscurantismo, dove il Maligno sta grandemente confondendo le menti e i cuori degli uomini, e non soltanto di quelli che si sono allontanati da Cristo, ma anche di coloro che, pur in buona fede credendo di fare la volontà di Dio, stanno portando molti fratelli sempre più lontani dalla libertà che Cristo ha portato all'umanità con il suo sacrificio.
Sono fermamente convinto che Cristo non voglia più dei servi, per quanto fedeli e fidati essi siano, ma degli amici sinceri, che ricambiano il suo amore e con cui possa condividere le cose che ha ricevuto dal nostro comune Padre Celeste. Penso che questo sia il messaggio che noi evangelici non ci dobbiamo mai stancare di ripetere a noi stessi e agli altri, perché ora più che mai è il momento di dimostrare che cosa significhi essere “amici fedeli di Cristo”. AMEN