I bambini e il Regno di Dio

Testi: Luca 18:15-17

Tutti conosciamo questo piccolo episodio dei Vangeli, che solitamente viene letto come un apprezzamento di Gesù verso i bambini.

Ai nostri giorni, un comportamento simile, cioè accogliere i bambini, è ritenuto del tutto normale, tanto che molti leggono questo gesto di Gesù, come una sorta di ovvietà.

In Italia, in particolare, poiché nascono sempre meno bambini, al punto che sono diventati un bene prezioso da preservare ad ogni costo, si è creata un'attenzione quasi maniacale verso di loro, e questo ci porta a interpretare le parole di Gesù come un invito a voler bene ai nostri figli, a prenderci cura di loro e ad amarli, proprio perché Gesù, per primo, duemila anni in anticipo sui nostri giorni, ha visto nei bambini, non solo il futuro del mondo presente, ma anche i protagonisti del regno di Dio.

Questa lettura, sia pure lusinghiera e sicuramente in linea con l'amore di Cristo per l'umanità, tuttavia, non deve portarci fuori strada.

Per capire meglio il significato di questo messaggio di Gesù, dobbiamo guardare al contesto in cui lui parla e si rivolge al suo pubblico.

Abbiamo anzitutto una piccola folla di genitori, che portavano a Gesù i loro figli, perché li benedicesse.

Gesù si era creato una fama di uomo di Dio, di operatore di segni potenti, di profeta dell'Altissimo, almeno presso la gente comune, ossia le persone semplici, gli ultimi, tutti quelli che noi oggi definiremo “il popolino”.

Davanti a quest'uomo dai poteri eccezionali, ma che allo stesso tempo andava predicando l'amore di Dio per tutta l'umanità, era normale che i genitori gli portassero i loro figli, perché, anche solo essere toccati da lui, per i genitori rappresentava una benedizione per i loro figli.

Possiamo ben immaginare che l'amore per i propri figli non era meno grande allora di quanto lo sia adesso; anzi, forse in quel tempo, proprio la mancanza di cure mediche e di un'assistenze sociale adeguata, che rendevano la vita dei bambini precaria e incerta, faceva sì che la benedizione di un uomo di Dio fosse tanto più importante agli occhi dei loro genitori.

Immaginiamo una ressa di genitori, con tanti bambini, che cercano di avvicinarsi a Gesù, di toccarlo, per ricevere la sua benedizione;

gli Apostoli a questo punto pensano d'intervenire per impedire che Gesù venga sopraffatto da tutte queste persone.

Ovviamente, i discepoli di Gesù, non è che non amassero i bambini, ma semplicemente, sgridavano i genitori perché erano troppo insistenti, e rischiavano di travolgere Gesù con la loro calca.

E poi dobbiamo ancora pensare che all'epoca, i bambini erano tanto più numerosi, proprio perché la mortalità infantile era così alta che, se fossero stati pochi, la continuità della famiglia umana sarebbe stata in serio pericolo.

Ora noi sappiamo che l'abbondanza di qualcosa, contribuisce a farne diminuire il valore;

fino ad un recente passato, infatti, erano gli anziani ad essere considerati e riveriti in tutte le società umane, questo, sia perché loro erano i depositari della saggezza e del sapere, sia perché, di fatto, erano molto pochi quelli che raggiungevano una veneranda età, poiché la vita media era piuttosto breve.

Allora, un mondo pieno di bambini e con pochi anziani, com'era l'epoca di Gesù, faceva sì che ai primi non fosse attribuito un gran valore, (episodio dei 5000 moltiplicazione dei pani e pesci…senza contare le donne e i bambini);

perciò ai bambini non veniva attribuito un valore tale da giustificare un intervento in loro favore di Gesù, magari a discapito proprio degli anziani e dei saggi del Popolo d'Israele.

I discepoli, allora, pensano di fare la cosa giusta allontanando i bambini che importunavano Gesù;

Gesù invece, sorprendendo tutti, dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate...”.

Immaginiamo ancora la scena: i discepoli avranno avuto delle facce sorprese, i genitori per contro saranno stati felici di vedere che Gesù accoglieva i loro figli, e ovviamente i bambini saranno corsi da Gesù e avranno gridato e fatto festa, come tutti i bambini.

La cosa più sorprendente però, sulla quale dovremmo riflettere noi oggi, come a quel tempo, è la seconda parte della frase di Gesù, dove lui ci spiega “il perché” di questo suo comportamento.

Gesù, infatti, non dice: “lasciate che i bambini vengano a me perché gli voglio bene, perché sono bravi, perché hanno bisogno di cure e di affetto, o perché sono importanti per il futuro del mondo”; spiegazioni che daremmo noi oggi al suo comportamento, e che, purtroppo, dico io, sono le spiegazioni a cui spesso ci limitiamo anche noi credenti, senza andare a fondo nella lettura di questo brano.

Gesù ci dice invece: “lasciate che i bambini vengano a me ...perché il regno di Dio è di chi è come loro”.

Attenzione, rileggiamo bene la frase di Gesù: “il regno di Dio è di chi è come i bambini!

Gesù non dice che il regno di Dio “è dei bambini”, com'è ovvio, altrimenti gli adulti non potrebbero ereditare il regno di Dio. Gesù però usa i bambini come paragone, ma con loro fa un paragone importante.

Qui dobbiamo allora chiederci: cosa intendeva Gesù per “essere come i bambini”?

In cosa gli adulti differiscono dai bambini?

E' chiaro che le differenze sono più d'una, poiché i bambini rappresentano soltanto una fase dello sviluppo umano, il primo in verità, eppure Gesù sottolinea che, per entrare nel regno di Dio, non occorre ciò che possiede l'uomo adulto, ma basta ciò che l'uomo ha quando è ancora un bambino!

Per essere sicuro che gli ascoltatori, già sorpresi dalla sua disponibilità verso i bambini, abbiano compreso ciò che lui voleva dire, Gesù ribadisce: “In verità vi dico: chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”.

Parole forti, parole dure, parole apparentemente irrazionali; ora come allora!

Pensateci bene cari fratelli in Cristo, noi tutti non vediamo l'ora di diventare adulti nella nostra vita, per poter fare questo, per poter avere quello, per poter andare di qui, e girare di là;

tutte cose che ai bambini sono spesso precluse, invece Gesù, apparentemente, ci dice che tutto quello che noi faremo e saremo nell'età adulta, non ci serve per entrare nel regno di Dio, perché, chi non avrà ricevuto il regno di Dio come lo riceverebbe un bambino, non vi entrerà affatto!

Terribile vero? Tanta fatica per nulla, si potrebbe dire!

A cosa ci servono allora tutte le cose che impariamo e facciamo da grandi, se poi, nella migliore delle ipotesi, sono inutili per entrare nel regno di Dio, mentre nella peggiore, rischiano addirittura di precludercelo il regno?!

Cerchiamo allora di capire bene cosa intende dire Gesù con l'essere come bambini;

mi sembra chiaro che non si riferisca, né all'aspetto fisico, come credeva Nicodemo quando chiese a Gesù: “Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?” (Gv 3:4), né al fatto che non dobbiamo diventare adulti, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe, altrimenti veramente la nostra società finirebbe se tutti restassimo bambini.

Gesù prende i bambini ad esempio per mostrarci il loro animo semplice e spontaneo, una volta si sarebbe detto: la loro purezza;

i bambini, almeno allora, erano innocenti, privi di malizia e anche degli esseri poco considerati, proprio perché numerosi, in buona sostanza erano anche gli ultimi della scala sociale umana, dopo le donne.

Tutte qualità queste, cui Gesù attribuisce un'enorme importanza, proprio perché, quest'innocenza di cuore e di spirito dei bambini, è simile a quella che è richiesta ai credenti adulti per entrare nel regno di Dio.

Gesù ci dice che, per entrare nel regno di Dio, non occorre essere, né ricchi, né potenti, né forti, né prestanti, né intelligenti, né istruiti, né scaltri, né sagaci, né dotati di prestigio, né famosi, né stimati, né sicuri di sé!

Insomma, tutte le buone qualità umane che noi di solito desideriamo avere, e che quasi tutte si raggiungono, con fatica, attraverso il nostro personale impegno, durante la nostra vita di adulti, a Gesù non solo non interessano, ma anzi, ci dice proprio che, con quelle qualità, nel regno di Dio non si entra proprio!

Diventare come bambini, “essere come bambini”, significa allora: “deporre tutte queste cose ai piedi della croce, e ritornare umilmente alle nostre origini”, quando l'unica cosa che contava per noi, era l'amore di nostro padre e di nostra madre, e le loro premurose cure!

Una volta diventati adulti, tutti noi abbiamo certamente maturato e acquisito una o più di quelle qualità che ho appena citato, e ci sembra naturale basarci su di esse per affrontare la nostra vita di credenti, così come le abbiamo usate nella nostra vita di cittadini del mondo;

invece Gesù ci dice che, per credere in lui, per essere salvati, e quindi per entrare nel regno di Dio, queste qualità non ci servono, e che se insistiamo a volercele portare appresso, non entreremo nel suo regno, perché tutto quello che ci serve per accogliere il regno di Dio, l'abbiamo già avuto fin da quando eravamo bambini, non per nostro merito, ma quale dono gratuito di Dio.

La grazia di Dio scende su tutti gli uomini, ma per accoglierla bisogna che il nostro cuore sia quello che avevano da bambini. A Dio non serve altro, e non ci chiede altro!

Eppure questa cosa, così semplice, è tutt'altro che facile, specialmente per noi, per molti di noi, che avendo maturato molte capacità umane, che ci hanno fatto emergere nel mondo, ci risulta difficile rinunciarvi col cuore.

Vi faccio un esempio per farvi capire, senza pretesa d'essere un giudizio ovviamente, che spetta soltanto a Dio; rileggendo la Bibbia, quanti episodi troviamo di persone che hanno accolto Gesù con il cuore da bambino? E quanti ne troviamo invece che l'hanno rigettato, perché inorgogliti da una o più di quelle qualità umane tanto apprezzate dal mondo?

Noi evangelici storici, per esempio, ci vantiamo spesso del nostro sapere, del fatto che abbiamo studiato la Bibbia, che conosciamo ciò che è stato detto, nel giusto contesto storico, e che quindi non cadiamo negli errori grossolani dei sempliciotti, che prendono alla lettera tutto ciò che è scritto nella Bibbia, senza discernimento, o si lasciano trasportare dal sentimento e dalla facile esaltazione.

Secondo voi però se prendessimo: un professore della facoltà Valdese di Teologia di Roma e un povero immigrato che frequenta una delle nostre chiese, e chiedessimo a entrambi di accogliere il regno di Dio come lo accoglierebbe un bambino, chi dei due sarebbe più disposto e pronto a farlo?

E' una provocazione, ovviamente, però io credo che alla luce di quanto ci dice Gesù in questo breve passo della Scrittura, valga la pena di rifletterci un attimo, perché le parole: “chiunque non accoglierà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”, sono così forti e lapidarie, che non possono non invitarci a riflettere, ciascuno di noi, nel proprio cuore.

Nella nostra vita, siamo veramente disposti ad accogliere Gesù Cristo come lo accoglierebbe un bambino?

E soprattutto, senza liberarci dalle nostre “buone qualità umane”, ne siamo veramente capaci?!

Ecco, cari fratelli in Cristo, che oggi la Scrittura ci interroga proprio con questo bel dilemma: come possiamo rispondere?

Io credo che anche la risposta sia contenuta in questo brano. Tutti noi abbiamo davanti agli occhi dei bambini; spesso noi riteniamo di dover insegnare a loro molte cose, però il Signore ci dice che siamo noi a dover imparare da loro, per riscoprire quella semplicità e quella spontanea naturalezza che non viene dal sapere umano, bensì dall'innocenza che Dio ci ha donato attraverso la sua creazione, prima che la conoscenza del bene e del male la corrompesse!

Cerchiamo allora veramente di “assomigliare a loro”, in questo, ritrovando davanti al Signore la gioia e la semplicità che lui ci aveva dato quando siamo nati, e che noi abbiamo perso crescendo, affascinati dalle luci del mondo, piuttosto che dall'amore di Dio.  AMEN