I nuovi cieli e la nuova terra

Testi: 2^ Pietro 3: 3 – 13     Apocalisse 21: 1 – 7

 

Le prime comunità di cristiani vivevano nella trepidante attesa del ritorno di Cristo in tutta la sua gloria, aspettandola come una cosa imminente che sarebbe accaduta nello spazio di poche generazioni; conseguentemente la loro vita di ogni giorno era simile a quella di una persona che da un momento all’altro sa di dover partire per un posto nuovo, ed è pronta a lasciarsi alle spalle tutto il resto.

Col passare degli anni però apparve chiaro che il ritorno di Cristo non sarebbe stata una cosa così imminente.

Lo stesso apostolo Pietro all’inizio del brano proposto oggi mette in guardia contro coloro che, col passare del tempo, non vedendo il ritorno di Cristo, cominciavano a dubitare della sua promessa; e ricorda che per il Signore il concetto di tempo è molto diverso dal nostro: “…per il Signore un giorno è come 1000 anni …”.

Cristo stesso, interrogato dagli Apostoli sul giorno e l’ora del giudizio finale (Mt 24:36) precisa che: “…quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo…”.

Non è quindi importante “quando” queste cose accadranno, cioè quando Cristo ritornerà nella gloria, visto che l’obiettivo di Cristo è quello di lasciare il tempo a tutte le generazioni, passate, presente e future di ravvedersi e giungere alla salvezza, e per questo è necessario che il suo Evangelo sia prima predicato a tutto il mondo … poi verrà la fine;

è bensì importante per noi sapere che tutto quello che Cristo ci ha promesso sarà mantenuto.

L’errore da cui l’Apostolo Pietro ci mette in guardia è quello di pensare che la promessa del ritorno di Cristo non si adempirà perché da quando è stata fatta è ormai passato troppo tempo senza che nulla sia accaduto.

È l’errore che noi, credenti e non, commettiamo regolarmente. Noi misuriamo tutto secondo il nostro personale metro, che è ben diverso dal metro di Dio.

Dalle morte e risurrezione di Cristo fino ad oggi possiamo stimare che sulla terra si siano succedute dalle 80 alle 100 generazioni di cristiani; ebbene ognuna di esse ha pensato, sperato, o temuto, a seconda dei punti di vista, di essere “la generazione” prescelta per assistere in vita al ritorno di Cristo, cioè “l’ultima generazione”.

Nessuna di queste lo è stata, e molto probabilmente non saremo neanche noi i testimoni di questo ritorno, e comunque nessuno lo può sapere, neanche quelle persone che all’avvicinarsi di date particolari come l’anno 1000, o il 2000, o il temuto 2012, hanno identificati in numeri puramente “umani” le date scelte da Dio per portare a compimento il suo Regno.

Quello che è certo è che queste generazioni di cristiani sono morte nella speranza della risurrezione in Cristo, e che vedranno il ritorno di Cristo nella sua gloria quando risorgeranno a nuova vita nell’ultimo giorno.

Ecco perché ha poca importanza sapere quando questo avverrà visto che molti credenti vissuti prima di noi sono già morti e che, presumibilmente, molti altri che ci seguiranno, noi compresi, moriremo allo stesso modo; quello che è importante è sapere che Cristo ci risusciterà tutti per una nuova vita, se noi avremo creduto in Lui e non avremo dubitato della sua promessa.

Vedete cari fratelli, la speranza della risurrezione in Cristo è un argomento fondamentale per tutti noi perché è l’obiettivo finale a cui ognuno di noi tende, e per il quale vale la pena di sacrificare la nostra presente esistenza terrena.

Un cristiano non vive per questa vita, ma per la nuova vita in Cristo.

Purtroppo questa grande gioia, che la speranza della risurrezione in Cristo ci da, è turbata dalle tristi circostanze della morte terrena dei fratelli e delle persone care che ci stanno accanto.

Normalmente anche nei nostri culti parliamo di risurrezione quando un fratello è venuto a mancare, e allora è comprensibile che il dolore per la grave perdita finisca immancabilmente per oscurare la gioia della risurrezione in Cristo.

In quel momento le parole di speranza pronunciate dal pastore sembrano una ben misera consolazione di fronte ad un grande dolore tutto terreno.

Si la morte ci fa paura, ed è normale che sia così, la morte ci rattrista perché è lo spartiacque che separa i credenti che sono ancora sulla terra, da quelli che sono ritornati a Dio.

Per questo motivo facciamo fatica a parlarne, ma quello che è ancor più grave è che facciamo fatica ad accettarla e vorremmo in qualche modo cambiare, se fosse possibile, la situazione.

Se da una parte noi riponiamo in Cristo la nostra speranza di salvezza, poiché è proprio la sua morte in croce e la sua risurrezione che ci hanno aperto la strada per la nostra risurrezione, dall’altra siamo restii ad accettare la nostra morte come passaggio inevitabile attraverso il quale raggiungere la risurrezione in Cristo.

Continuiamo a vedere la morte come la fine di questa vita terrena, che anche se non esaltante, ricca di sofferenze, rimane pur sempre l’unica che conosciamo.

Ecco perché noi, come le altre generazioni di cristiani che ci hanno preceduto, speriamo in cuor nostro di essere “quella generazione” che non vedrà la prima morte, ma che accoglierà il ritorno di Cristo viventi;

ma nello stesso tempo ne abbiamo paura perché il ritorno di Cristo rappresenta pur sempre la fine di questi cieli e questa terra che noi conosciamo, e l’inizio di nuovi cieli e nuova terra, che ancora non conosciamo.

Che bella espressione “nuovi cieli e nuova terra”, sicuramente detta in questo modo è una frase ad effetto che spesso utilizziamo per rappresentare la nostra voglia di rinnovamento, la voglia di cambiamento nella nostra vita e in Cristo; ma nelle Scritture queste parole hanno un ben più profondo significato.

Non vi possono essere nuovi cieli e nuova terra se non dopo il passaggio di questo cielo che oggi ci ricopre, e di questa terra su cui noi oggi appoggiamo i nostri piedi!

Così come non vi può essere la risurrezione in Cristo se non dopo la morte in Cristo!

Ma non è forse vero che la nostra morte e la distruzione di quello che abbiamo di più caro ci fa paura fino ad arrivare di desiderare di non dover mai morire e di non dover vedere il giorno del Signore?

Non è forse vero che nel profondo del nostro cuore preferiamo pensare di “creare noi un nuovo cielo e una nuova terra” illudendoci di poter “ristrutturare” questa che conosciamo bene piuttosto che assistere all’opera di Dio?

Quanti dubbi e quante paure ci assalgono; presi e travagliati come siamo da mille problemi che la nostra vita quotidiana ci riserva, troviamo a malapena il tempo di rivolgere le nostre preghiere a Cristo per le nostre necessità quotidiane, e releghiamo la speranza del Regno all’ultimo posto della lista per tirarla fuori quasi esclusivamente quando dobbiamo salutare un fratello o una sorella che il Signore ha richiamato a sé!

Eppure cari fratelli, Cristo, in cui noi diciamo di credere, ci ha promesso un nuovo cielo e una nuova terra in cui Lui abiterà con noi e dove asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi, e dove non ci sarà più né morte, né cordoglio, né grido, né dolore…

Riflettiamo bene su questo perché dobbiamo essere capaci di cogliere il giusto significato di queste parole.

Certo i primi cristiani sbagliavano quando pensavano che aspettare il ritorno di Cristo volesse dire distaccarsi completamente da questo mondo, come sbagliano quelle chiese millenariste che pretendono di sapere con esattezza quando Cristo ritornerà e ne fanno una questione di date.

Cristo ci ha promesso che ritornerà, ma non ci ha detto quando, quindi non possiamo aspettarlo con la valigia in mano abbandonando tutti i nostri impegni in questo mondo, non è questo che ci viene chiesto.

Tuttavia sbaglieremmo anche noi se considerassimo il ritorno di Cristo come una cosa simbolica che, perché posta in un imprecisato futuro, non dovesse mai realizzarsi.

Sbaglieremmo se pensassimo che, poiché abbiamo il “Cristo della croce”, che è il Cristo che ci salva, non sapessimo riconoscere in lui anche il “Cristo risorto”, il Cristo re che ritorna per prendere possesso del suo regno e portare così a compimento l’opera che ha iniziato in Palestina 2000 anni fa!

Il Cristo crocifisso è in funzione del Cristo risorto, i due aspetti non sono scindibili cari fratelli, come ci ricorda Paolo nella sua lettera ai Corinzi (1a Co 15:15) “…se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri tra tutti gli uomini …

All’apostolo Giovanni è stato rivelato in una visione quello che sarà il Regno di Cristo con noi, e quindi se abbiamo creduto che Cristo è morto in croce e risorto per noi, dobbiamo altresì credere che egli adempirà fino in fondo alla sua promessa.

Se noi crediamo che Cristo crocifisso è reale e salvifico, così non possiamo non credere che lo stesso Cristo risorto è re, e regnerà su una nuova terra e sotto un nuovo cielo che ancora non conosciamo ma che saranno altrettanto reali della terra e del cielo in cui viviamo ora, AMEN