Il vero credente

Testi: Matteo 7:21-27   Giacomo 1:22-24

 

Cari fratelli in Cristo, a chi potremmo paragonare un vero credente nel nostro Signore Gesù Cristo?

Lo potremmo paragonare ad un malato grave che si reca dal medico per farsi diagnosticare la sua malattia, e dopo aver ricevuto dal medico la diagnosi e la relativa cura, si prodiga con tutte le sue forze per seguire le sue prescrizioni, fino al raggiungimento della completa guarigione.

A chi potremmo invece paragonare un non credente?

Lo potremmo paragonare sempre ad un malato grave che si reca dal medico per farsi diagnosticare la sua malattia, ma un malato che, dopo aver ricevuto la diagnosi e la relativa cura, se ne esce dicendo che quel medico non capisce nulla, che non è riuscito neppure a fare una diagnosi corretta della sua malattia; e quindi quel malato, che rifiuta la cura proposta, non guarisce dalla sua malattia.

Ci sono poi delle persone che dicono di essere dei credenti, ma che, allo stesso tempo, dichiarano di essere: “non praticanti”;

a chi potremmo paragonare quest'altro tipo di credente?

Anche lui lo potremmo paragonare ad un malato grave che si reca dal medico per farsi diagnosticare la sua malattia, e dopo aver ricevuto la diagnosi e la relativa cura, le riconosce giuste, tuttavia, una volta uscito dallo studio del medico, questo malato non segue la cura prescrittagli, e senza più nemmeno preoccuparsi della sua malattia, continua a comportarsi come faceva prima di aver interpellato il medico.

Secondo voi, quest'ultimo ammalato guarirà dalla sua malattia così come avviene per il primo ammalato? Oppure rimarrà con la sua malattia come avviene per il secondo?

La risposta è abbastanza ovvia: quest'ultimo ammalato difficilmente potrà guarire, perché non basta conoscere il male che ci ha colpiti per guarire, ma occorre anche seguire la giusta terapia che il medico ci prescrive.

Chi è dunque il medico di tutti i peccatori? E' Gesù Cristo; l'unico che ci può guarire dal nostro male che si chiama “peccato”, a patto però che noi crediamo in Lui e che quindi seguiamo la sua terapia, ovvero mettiamo in pratica i suoi insegnamenti.

Il primo ammalato rappresenta i veri credenti, cioè coloro che dopo aver udito la Parola di Cristo, lo accettano con tutto il loro cuore come il loro personale salvatore, e conformano la loro vita al suo amore e ai suoi insegnamenti, ricercando l'amore di Dio e del prossimo.

Il secondo ammalato rappresenta i non credenti, cioè coloro che dopo avere udito la Parola di Cristo dicono: “Io non ci credo, sono tutte favole; non credo né in Gesù Cristo, né che ci sia un qualunque altro dio!” e continuano la loro vita come se nulla fosse, non ammettendo neanche di essere ammalati, ossia non riconoscendo di essere dei peccatori.

Il terzo ammalato rappresenta quelli che, a parole dicono di credere in Dio e in Gesù Cristo, ma nei fatti non fanno nulla: né per dimostrarlo, né per seguire i suoi insegnamenti. Sono coloro che sono stati battezzati da piccoli, ma che nel corso della loro vita non hanno mai seguito Gesù Cristo con il loro cuore, come fa un vero credente, e magari sono ritornati in chiesa soltanto in occasione del loro matrimonio e del loro funerale, ossia i c.d. “credenti non praticanti”.

Né i secondi, né gli ultimi, purtroppo, giungeranno alla salvezza; ma se per i non credenti è evidente il perché: senza la fede in Gesù Cristo infatti non c'è salvezza, e chi non ha creduto non potrà essere salvato, per i cd “credenti non praticanti”, siamo spesso indotti in errore, infatti, qualcuno dice: “ma loro hanno riconosciuto in Cristo il figlio di Dio, quindi la grazia è su tutti quelli che credono in Lui, indipendentemente dalle loro opere!”

Questo modo di vedere, diffuso anche tra gli evangelici, non ci deve però confondere.

E' bene vero che non sono le opere che salvano, bensì la fede in Cristo;

ma cosa significa veramente: “avere fede in Cristo”?

Può bastare credere che Gesù Cristo sia il figlio di Dio per essere salvati?

anche i demòni lo credono e tremano” (Gm 2:19), ma non per questo sono salvati!

Ciò che può guarire i tre malati è il riconoscere che il medico li può curare, e conseguentemente credere nella validità della sua terapia. Questo il secondo malato (il non credente) ovviamente non l'ha fatto, il terzo (credente non praticante) però si. Tuttavia, non basta credere questo per guarire, occorre anche seguire la terapia prescritta dal medico, cosa che non ha fatto neanche il terzo ammalato, che pure credeva nella sua validità, perché credeva nelle capacità del medico.

Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.” è detto nel brano proposto oggi;

e questa è la vera fede in Cristo!

Non una fede nominale pronunciata con la bocca, ma una fede che scaturisce dal cuore e che si concreta nell'intima condivisione della volontà del Signore e nel conseguente sforzo per darle attuazione nella nostra vita.

Questo è anche il punto dove la “sola fede” degli evangelici incontra (e si scontra), con le opere dei fratelli cattolici. La fede senza le opere, di cui ci parla sempre Giacomo, che è “morta”, non sta a significare che la salvezza è, sia per fede, sia per opere, ma semplicemente che le opere sono la conseguenza visibile della nostra fede, perché una fede soltanto intellettuale è “veramente morta”; è come la fede del terzo malato, che, nella sua mente crede nel medico, ma poi non segue le sue prescrizioni.

Nella fede morta non c'è salvezza, perché non produce alcun effetto sulla nostra vita, quindi è come se non ci fosse.

Al posto del termine “opere”, tuttavia, io preferisco utilizzare il termine “azioni”, proprio per evitare di cadere nell'errore di attribuire alle opere un valore salvifico in sé.

Le azioni indotte dalla nostra fede sono la prova che la nostra fede è viva, ma questo indipendentemente dal risultato che poi esse producono.

Per fare un esempio chiarificatore, pensate alla parabola del buon Samaritano; di solito consideriamo il suo gesto “un'opera buona” perché ha permesso di salvare la vita di quell'uomo che, se lasciato lungo la strada senza soccorso, sarebbe probabilmente morto.

Tuttavia, è il gesto in sé, che il Samaritano ha compiuto, a provare la sua fede, indipendentemente dal risultato poi ottenuto;

se per ipotesi l'uomo ferito lungo la strada, nonostante le cure ricevute dal Samaritano, fosse comunque morto, perché le ferite ricevute erano troppo gravi per poter essere guarite, questo, agli occhi di Dio, non vanificherebbe certo l'azione compiuta dal Samaritano, perché è proprio la sua azione che prova la sua fede, al di là del risultato che ne è poi scaturito.

Quando la nostra fede in Cristo è viva, noi non possiamo fare a meno di agire per Lui, di compiere la sua opera, nei tempi e nei modi in cui Dio stesso ci chiama a svolgerla.

Quando noi non operiamo per il Signore è perché non abbiamo veramente fede in lui, nella sua chiamata, nei suoi insegnamenti, nelle sue promesse.

Quanti sono i cristiani c.d. “storici” che lo sono di nome, ma poi di fatto sono soltanto dei vasi vuoti con attaccato sopra un'etichetta su cui sta scritto: “Io sono un Cristiano”?!

Forse un tempo la fede in Cristo dimorava ancora in quegli uomini e in quelle donne, ma ormai sono rimaste soltanto le etichette.

Ora noi dobbiamo chiederci, ciascuno di noi nel suo intimo rapporto con Dio, quando ci incontriamo con Lui attraverso la preghiera, nel segreto della nostra camera:

“Io, che tipo di ammalato sono, oh Signore?”

Siamo veramente sicuri di essere del tipo numero uno? Ossia dei veri credenti con tutto il nostro cuore? O qualche volta anche noi scivoliamo nel credente tipo tre, diventando così dei malati sì consapevoli, e tuttavia, restii a seguire la terapia dataci dal nostro Signore Gesù Cristo.

Tutta la nostra religiosità, la nostra fede, le nostre speranze riposte nel Signore, e quindi la nostra stessa vita, presente e futura, si giocano qui: nella scelta tra il seguire con tutto il cuore il Signore, o nel non farlo, limitandoci ad un comportamento neutro e distaccato, con cui illudiamo soltanto noi stessi di essere dei credenti, senza però esserlo veramente, come ci dice sempre l'Apostolo Giacomo: “se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com'era”.

La differenza come possiamo ben capire non è cosa da poco conto!

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John Wesley, il fondatore della Chiesa Metodista, era fermamente convinto che soltanto seguendo fino in fondo la terapia prescrittaci dal nostro Signore Gesù Cristo (ossia i suoi insegnamenti), possiamo essere sicuri della nostra salvezza;

Wesley credeva che la c.d. “grazia preveniente”, ossia la grazia di Dio in quanto tale, che io nella piccola parabola che vi ho proposto oggi, paragono alla terapia prescritta dal medico a tutti e tre gli ammalati, doveva essere “afferrata volontariamente” dal credente, affinché fosse efficace per la sua salvezza.

Secondo Wesley, ed altri teologi che con lui condividono questa rivelazione, senza la volontà dell'uomo di “accettare la grazia di Dio”, la grazia stessa è inefficace, com'è inefficace la giusta terapia quando non è seguita dal malato; ossia “la grazia si può anche perdere”, ammoniva Wesley, (seguendo Arminio) se viene a mancare la vera fede nel Signore.

Benché questa visione sia oggi minoritaria nelle chiese storiche riformate, io sono tuttora convinto della validità di questo insegnamento, e condivido pienamente la teologia Wesleyana della grazia preveniente perché è ciò che il Signore mi rivela nel mio cuore.

Sento perciò molto viva la necessità di predicare quest'insegnamento perché vedo come molti membri delle nostre chiese (storiche) si stiano sempre più comportando come il malato numero tre, che mentalmente crede in Cristo e nella sua grazia, ma poi non fa nulla concretamente per afferrarla, per farla propria, illudendo così soltanto sé stesso.

Questo non deve succedere, perché nessuno di noi può permettersi di rifiutare di prendere la grazia di Dio che ci viene offerta, ma dobbiamo sempre conformaci, per fede, agli insegnamenti del nostro Signore Gesù Cristo, perché avere fede in Lui non vuole dire limitarsi a gridare il suo nome al mondo, bensì condividere e fare effettivamente ciò che Lui ci ha insegnato e ci chiede di fare. AMEN.