Il dolore per la separazione

Testi: Atti 1:1-11; 2 Samuele 12:13-23.

 

Il primo testo di oggi ci parla dell’ascensione in cielo del nostro Signore Gesù Cristo; un momento importante per la nostra fede, almeno quanto la Pasqua e la Pentecoste.

Di fronte all’ascensione di Cristo proviamo ad osservare il comportamento degli Apostoli; prima della Pasqua essi erano sconvolti dalla morte di Gesù, e in loro vi era un grande dolore se non addirittura la disperazione;

poi a Pasqua Gesù è risorto e si è presentato a loro, e a questo punto nei loro cuori è sopraggiunta una grande gioia, anzi una duplice gioia possiamo dire, perché da una parte Gesù era ritornato con loro, e dall’altra il loro Maestro con la sua risurrezione aveva dimostrato loro in modo definitivo che le sue erano parole di Verità.

Possiamo ben immaginare che in quei 40 giorni in cui il Signore è rimasto sulla Terra come un “risorto dai morti” i suoi discepoli fossero pervasi da una grande gioia;

però questa gioia viene di molto attenuata fino a mutarsi in tristezza, quando Gesù dice loro che presto li lascerà per salire al cielo. Da quel momento loro saranno di nuovo soli, come nel momento in cui Gesù morì sulla croce; ma Gesù comprende la loro tristezza, così promette loro lo Spirito Santo che verrà da li a poco per consolarli del fatto che da quel momento lui non sarà più con loro.

Pensate ad una persona cara che sta per lasciarvi e che non rivedrete più su questa terra; così si sentivano gli Apostoli quando Gesù veniva elevato in cielo.

Lo avevano visto morire una volta, avevano avuto la prova che era risuscitato, ma ora davanti al loro Signore che saliva in cielo era come se gli fosse stato tolto una seconda volta, anche se essi sapevano bene che un giorno lo avrebbero raggiunto in cielo per rimanere con lui per sempre.

Il momento dell’elevazione a Dio, che dovrebbe essere accolto come un momento di giubilo, come il coronamento di una vita intera spesa al servizio di Dio Padre, di fatto per i credenti di ogni epoca è un momento assai triste perché coincide anche con la separazione dai propri cari che sono ancora sulla terra.

L’ascensione per questo motivo è un momento dalla duplice natura: gioiosa da un lato, perché il Cristo ascende al cielo e prende possesso del Regno, ma triste dall’altro, perché rappresenta pure il temporaneo distacco dai suoi discepoli che rimangono sulla Terra.

Allora cari fratelli in Cristo, il tema che vi propongo oggi è proprio la separazione dalle persone che più amiamo a causa della morte.

Solitamente si parla poco della morte, specialmente ai nostri giorni, dove è diventato un argomento “tabù”, da evitare il più possibile, quasi fosse sconveniente.

Eppure ogni uomo che viene al mondo è destinato prima o poi ad affrontare la morte; la morte è uno stadio della nostra vita: l’ultimo per chi non crede nella vita eterna, ma per coloro che hanno riposto la loro speranza in Cristo e nella sua promessa di risurrezione, essa equivale di fatto all’ascensione in cielo della nostra anima o coscienza umana, ossia il passaggio obbligato per il Regno dei Cieli, poiché soltanto a Gesù (e prima di Lui, Enoch ed Elia) è stato concesso di essere assunto in cielo con tutto il corpo, mentre a noi sarà dato un nuovo corpo soltanto nel Regno dei Cieli, e quindi è solo la nostra anima o coscienza che attraverso la morte ascende a Dio.

Ma prima di proseguire con questa meditazione voglio fare alcune considerazioni di carattere generale sulla morte:

La prima considerazione riguarda il fatto che presso tutti gli uomini di ogni tempo, diversi per razza, cultura, storia, tradizioni e credo religioso, troviamo un culto dei morti. Presso alcuni popoli questo culto è talmente importante da costituire una parte fondamentale della loro stessa esistenza.

La seconda considerazione a questo proposito è che il culto dei morti è tipico ed esclusivo della specie umana; nessuna specie animale ha infatti un culto dei morti, neanche le speci più evolute si prendono cura dei loro simili una volta morti, solo gli uomini lo fanno, e questo ci fa capire che il culto dei morti non è un comportamento istintivo, come mangiare, bere, riprodursi etc, ma è maturato da una successiva consapevolezza della morte che l’uomo ha acquisito, e che invece manca in tutte le speci animali.

La terza considerazione è che tutti gli uomini, che credano o meno in una qualche forma di vita dopo la morte, si adoperano affinché i loro defunti abbiano una cura dopo il loro decesso. Questo avviene in ogni credo religioso, ma anche di fronte a popoli dichiaratamente atei, i funerali sono celebrati in forma solenne e sono erette tombe, monumenti e maestosi mausolei specie agli uomini importanti, affinché almeno il loro ricordo sia perpetrato nelle generazioni future.

La quarta considerazione è che di fronte alla morte tutti gli uomini, credenti o non credenti, sono accomunati da due stati emotivi: la paura e il dolore! La morte è comunque un passaggio da uno stato di cose conosciuto, a uno che ci è sconosciuto; nessun uomo può negare di avere paura di fronte alla propria morte, ne di provare dolore per la morte di una persona a lui cara.

Arriviamo ora a noi, al nostro personale atteggiamento di fronte alla morte.

La morte porta con sé una tragica conseguenza che è la separazione dalle persone care, da quelle che più amiamo. Allo stesso modo con cui gli Apostoli reagirono vedendo Gesù salire al cielo, così siamo portati a reagire noi, uomini come loro. Certo gli Apostoli non temevano la morte, specialmente dopo aver visto la potenza della risurrezione di Cristo; come potevano temere la morte loro che avevano conosciuto Cristo? Eppure pur sapendo che Gesù era risorto, anche loro dovevano affrontare il fatto che lui non sarebbe rimasto con loro dopo la sua risurrezione, ma che lo avrebbero rivisto solo in cielo, e questo li addolorava.

Così se affrontare la morte di una persona cara, avendo la certezza della sua risurrezione in Cristo, ci fa meno paura, è però certo che ci causa comunque un grande dolore.

Il dolore legato alla morte per un credente è di gran lunga la cosa più tragica che la morte porta con sé, e a soffrire in verità non sono coloro che muoiono ma coloro che rimangono in vita a causa della temporanea separazione.

A volte questo dolore è intollerabile, per alcune persone la morte di una persona cara è vissuta come un dramma senza fine, e questo anche da persone credenti.

Tutti i culti che si celebrano per i defunti spesso non sono altro che “cerimonie per lenire il dolore dei vivi” e rendere più accettabile la separazione dalla persona cara che era con noi fino al giorno prima. Di fronte a questo grande dolore purtroppo spesse volte osserviamo i comportamenti più assurdi, nel vano tentativo di fare qualcosa per la persona morta, comportamenti che però non sono di nessun giovamento per le persone che ci hanno lasciato e spesso sono invece dannosi per noi che rimaniamo ancora su questa Terra.

Solo per farvi un esempio, vi sono alcune popolazioni, in zone molto povere del mondo, che quando muore un membro della loro famiglia, usavano tutti i loro beni per un funerale dispendiosissimo, riducendosi in condizioni disperate, così che al dolore per la perdita del proprio caro si somma un ulteriore disagio esistenziale.

Assurdo fin che volete, ma di fronte al dolore della morte di una persona cara, l’uomo è spesso portato ad avere comportamenti altrettanto distruttivi per i vivi.

Ma cosa ci dice la Scrittura a proposito del comportamento che noi credenti in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo dobbiamo tenere di fronte alla morte di una persona cara?

Anche noi soffriamo per la temporanea separazione dalla persona cara che è stata chiamata da Dio, ma il sapere che i nostri cari ci hanno solo preceduti presso il Padre ci deve far ragionare con una ben maggiore serenità rispetto a chi non crede, o a chi crede in situazioni ed eventi estranei al messaggio della Bibbia.

Noi, fratelli, sappiamo che la nostra morte è solo il necessario passaggio che ci porta nelle mani di Dio; è il momento in cui, per un credente cessano tutte le preoccupazioni di questo mondo, perché da quel momento in poi ogni cosa è rimessa a Dio.

Se ci convinciamo di questo anche il nostro atteggiamento di fronte alla morte sarà molto diverso. A noi credenti che rimaniamo qua sulla Terra, resta sì il dolore per la temporanea separazione, un dolore tutto umano, ma che non ci deve portare a fare cose inopportune; evitiamo cioè di fare del male a noi stessi cercando di fare qualcosa che non può essere di nessun giovamento ai nostri fratelli defunti.

Cosa intendo dire? Faccio qualche esempio: dopo la morte noi andiamo presso Dio in attesa della risurrezione dell’ultimo giorno, ossia in attesa di ricevere un nuovo corpo immortale così come è avvenuto per Gesù Cristo il primo dei risorti.

Non c’è assolutamente più nulla che possiamo fare per i morti a questo punto, ma questo ci è molto difficile d’accettare e così ci inventiamo cose assurde. In passato ci siamo inventati un fantomatico luogo dove le anime dei peccatori dovevano espiare le loro colpe meno gravi, detto “purgatorio” di dantesca memoria, e di conseguenza ci siamo inventati che i viventi possano, con le loro buone opere e le loro preghiere d’intercessione, aiutare i defunti ad espiare le loro colpe terrene, e da li è nato il mercato delle indulgenze, così duramente condannato da Lutero come frutto di un grave errore interpretativo, e causa di molti mali ai viventi.

Oggi purtroppo sono ancora molti i cristiani che credono a queste distorte interpretazioni bibliche che ci fanno deviare dalla fede vera.

A tal proposito voglio invitarvi a riflettere sul secondo brano proposto per oggi, perché in esso è contenuta un’importante indicazione sul comportamento che un credente deve tenere di fronte alla morte di una persona a lui cara.

In 2 Samuele ci è narrato di re Davide nell’unica occasione in cui ha abbandonato la legge di Dio per peccare con Betsabea, la moglie di Uria l’Hittita, che Davide aveva fatto uccidere proprio con questo intento.

Dio, per bocca del profeta Natan, fa sapere a Davide che per questa sua trasgressione non prenderà la sua vita, bensì la vita del figlio che gli è appena nato da Betsabea, e il figlio subito cade ammalato in modo grave.

Avete udito cosa fa Davide di fronte al figlioletto ammalato?

Lui fa penitenza, digiuna e prega intensamente Dio perché risparmi la vita del figlio! Direi che siamo di fronte ad un comportamento del tutto umano e comprensibile, un comportamento che terremo anche noi quando un nostro caro giacesse in punto di morte colpito da una terribile malattia.

Pregare Dio perché salvi la vita a qualcuno che amiamo è non solo legittimo ma buono ed auspicabile perché la vita di ogni uomo è nelle mani di Dio, e solo Dio la può risparmiare o prendere.

E Davide aveva una vera e profonda fede come pochi altri uomini.

Poi però succede quello che spesse volte può accadere; Dio ha deciso di prendersi comunque la vita del bambino, nonostante le preghiere di Davide, perché questa era la sua imperscrutabile volontà, e noi uomini non possiamo che piegarci davanti all’estrema volontà di Dio.

Notate però a questo punto il comportamento di Davide: nel suo cuore vi era un grande dolore per la perdita del figlio, ma di fronte alla sua morte lui smette di pregare per la vita del figlioletto, e addirittura smette pure il digiuno e le altre penitenze, ma riprende la sua vita normale, con grande sorpresa di tutti i suoi servitori che si aspettavano da lui un ben diverso comportamento, lo stesso comportamento che ci aspetteremmo noi in un caso simile.

Ma Davide ha ben chiara una cosa nel suo cuore e nella sua mente: fino a quando il bambino era vivo valeva la pena di pregare Dio perché risparmiasse la sua vita, ma una volta che il bambino è stato preso nelle mani di Dio, non serve più pregare per lui perché Dio ha già espresso il suo giudizio, Davide infatti dice: “posso forse farlo ritornare? Io andrò da lui, ma egli non ritornerà da me!”.

Quale importante insegnamento ne possiamo trarre da questo passo dunque?

Un insegnamento semplice, e molto chiaro: “non sono i morti ad avere bisogno di preghiere, bensì i vivi!”

Se volete bene ad una persona che vi è vicina, ad un amico ad un fratello che amate, pregate per lui intanto che egli è ancora vivo;

chiedere a Dio per lui quello di cui in cuor vostro ritenete abbia bisogno perché se lo farete con fede ed amore sincero il Signore ascolterà le vostre preghiere e le esaudirà, se questo rientra nei suoi progetti ovviamente;

ma voi chiedete lo stesso e comunque, perché non potete conoscere i progetti di Dio.

Quando però una persona a voi cara viene chiamata da Dio, smettete di pregare per lui; le preghiere per i morti non servono a nulla, non giovano né a loro, né a voi, perché i nostri cari che sono già presso Dio non hanno più bisogno di nulla, neanche delle nostre preghiere perché hanno già Dio che pensa a loro.

Le c.d. “messe in suffragio” che vediamo nelle chiese cattoliche per esempio, sono delle inutili pratiche che non giovano a nulla, né a chi le fa, né a coloro a cui sono destinate, la scrittura è chiara su questo, anche se la mente offuscata dal dolore spesso ce lo fa dimenticare, e poi c’è chi sfrutta questo dolore per infierire maggiormente sulle condizioni già precarie dei vivi e trarne un personale quanto ingiusto profitto.

Queste pratiche dei morti sono il frutto di un retaggio del passato pagano, ma che non trovano fondamento nella scrittura perché come è scritto nella Bibbia: "Io sono il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe"? Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi». (Mt 22:32).

Quindi cari fratelli in Cristo, non dobbiamo piangere i morti con vane pratiche perché non è questo che il nostro Signore Gesù Cristo vuole da noi; certo ognuno di noi porta il dolore delle separazione dai propri cari, ma con esso anche la certezza che essi sono già con Dio così come lo è il Signore Gesù Cristo che è già salito in cielo davanti agli occhi, sia pur tristi, dei suoi Apostoli, ed è la con lui che ritroveremo i nostri fratelli e i nostri cari un giorno, quando toccherà a noi riunirci con loro. AMEN