"La ricompensa"
Testi: Matteo 6:1-6
Ci sono dei passi della Scrittura che lasciano perplessi noi credenti del XXI°, almeno alla luce della nostra sensibilità moderna. Gesù, il Cristo, il figlio di Dio, venuto al mondo per annunciare la salvezza data agli uomini, ce lo potremmo immaginare come colui che in una piazza sale su un palco e proclama a gran voce l'Evangelo. Quest'immagine la possiamo anche ritrovare nella Scrittura, se però ne facciamo soltanto una lettura superficiale, influenzata dai nostri occhi di uomini abituati al clamore e ai sensazionalismi della televisione; se però la leggiamo con più attento raccoglimento, scopriamo che Gesù era tutt'altro che un politicante o un venditore di fumo, che arringava la folla con frasi ad affetto e gesti mirabolanti.
No Gesù era una persona estremamente riservata, uno che non amava gridare, uno che raccomandava ai suoi discepoli di tacere sul fatto che lui fosse il Messia, e ai miracolati imponeva di non parlare delle loro guarigioni.
Certo i suoi segni erano così grandi che inevitabilmente suscitavano molto clamore e attiravano migliaia di persone incuriosite, ma non per questo Gesù si è mai presentato come il leader o come il politico che incitava e cercava il consenso della folla. Gesù operava quasi in silenzio; si operava in silenzio, a dispetto del clamore che suscitava attorno a se, e invitava i suoi discepoli a fare altrettanto.
Questo suo atteggiamento ci deve perciò fare riflettere e diventare per noi un insegnamento, una guida per il nostro modo di essere testimoni del suo Evangelo.
Cosa ci insegna allora in questo passo della Scrittura?
Io credo ci insegni esattamente questo: a Dio, non interessa soltanto ciò che noi facciamo, ma prima di tutto a Lui importa il come e il perché lo facciamo.
Il brano della Scrittura di oggi infatti ci spiega molto bene qual'è l'atteggiamento che deve tenere un credente nella sua missione di testimonianza dell'Evangelo. Il primo versetto è una vera e propria -bomba-: "Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli".
Pensiamoci bene, queste parole di Gesù sono molto dure, ma anche chiare, perché segnano un preciso spartiacque tra quella che è la fede cristiana vera, quella vissuta nel profondo dei nostri cuori, da un lato, e l'etica cristiana laica e secolare, oggi tanto diffusa nel mondo cristiano dell'occidente, dall'altro.
Oggi, ancor più di ieri, in una società europea secolarizzata, dove del cristianesimo sono rimasti soltanto dei deboli riferimenti etici, le cd "radici cristiane", si tende a mettere in primo piano soltanto alcuni dei valori del cristianesimo, in una società dove però la fede in Dio e il suo culto sono del tutto secondari, se non addirittura avversati.
La cultura odierna sembra volerci dire: "l'uomo ha valori etici di riferimento che lo rendono -buono per se stesso- senza più il bisogno di avere un dio cui rendere culto e conto", ossia, "si può essere delle brave persone, amorevoli e giuste, senza bisogno di credere in un dio!"
Questo è il messaggio che oggi ci viene proposto, persino da alcune chiese che si dicono cristiane;
gli uomini sono ammirati o riprovati per quello che fanno;
per il bene che compiono a favore della società o per il male che causano all'umanità, e basta, non importa più se credono in Dio o sono del tutto atei.
Il giudizio della società riguarda soltanto il comportamento umano nel presente, e non tiene più in alcun conto di quello che dovrà essere il giudizio di Dio, che semmai ci sarà, esula ed è totalmente svincolato dal presente.
Anche molti di quelli che si professano credenti, sono convinti che agendo così fanno la cosa giusta e sono anche convinti che Dio approvi il loro operato perché nella loro azione sociale si ispirano a valori etici che la società ha mutuato dal cristianesimo.
E' ben vero che Dio si compiace del bene che compiamo, della giustizia che noi poniamo in essere nei confronti del nostro prossimo e che si rallegra di tutte le buone azioni che l'umanità compie per se stessa e per il creato, mentre si dispiace e si addolora del male che viene commesso nel mondo.
Non di meno Dio ci ricorda che questo non basta per adempiere la sua Parola, per compiacerlo, per essere suoi figli amati.
Perché Dio non si limita ad osservare ciò che noi facciamo ma scende nel profondo del nostro cuore e valuta soprattutto "il come e il perché" lo facciamo!
Se la nostra giustizia, cioè il nostro agire è motivato dal desiderio di dare gloria a Dio (Soli Deo Gloria), cioè di dare testimonianza alla sua Parola, allora ecco che noi ne riceveremo da lui un premio nel giorno della risurrezione;
se però il nostro agire e la nostra giustizia saranno motivate soltanto dalla ricerca della gloria umana, ossia dalla nostra gloria personale, allora il nostro premio sarà stato soltanto quello di aver ricevuto tale gloria, quaggiù sulla terra dove l'abbiamo ricercata.
Non pensiamo, in quest'ultimo caso, di poter ricevere un ulteriore premio nel giorno del giudizio;
il secondo versetto infatti ribadisce: "Quando dunque fai l'elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno", o come traducono altre versioni: "...In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa".
Infatti aver già ricevuto la propria ricompensa, significa che si è già stati pagati per qualcosa che si è fatto e quindi più nulla è dovuto in proposito!
Allora riflettiamo bene su quest'affermazione di Gesù, perché Dio è giusto e per il bene compiuto, così come per il male, rende giustizia, ma fare il bene in sé non mi da automaticamente diritto al premio celeste, se non lo compio alla gloria di Dio; se lo compio alla gloria umana sarò altresì ricompensato con la gloria umana, ma non mi varrà nulla per la gloria celeste.
Tanto per essere chiari facciamo un esempio: sappiamo che se facciamo l'elemosina, come nel caso in questione, ne riceviamo un premio; ma se sono un ricco magnate americano e dono in beneficenza una consistente fetta dei miei profitti, anche il fisco americano mi concede dei generosi sgravi di tasse, oltre a ricevere l'approvazione dei miei connazionali per la mia generosità e l'altruismo, ma questa sarà la mia sola ricompensa! Se invece dono di nascosto parte del mio guadagno ai poveri senza che nessuno lo venga a sapere, com'è scritto: "non sappia la tua sinistra quel che fa la destra", nemmeno colui che lo riceve (fisco americano compreso), allora nel giorno finale ecco che Dio mi renderà la giusta ricompensa per ciò che ho fatto, perché in quel caso è soltanto fatto alla gloria di Dio, come è spiegato nei versetti successivi del brano di oggi.
Nella Bibbia infatti è spiegato che il nostro Dio è un dio geloso, che non ama condividere la sua gloria con nessuno; "non
avrai altri dei oltre a me", non è un semplice richiamo al monoteismo religioso ma anche un preciso invito al monoteismo di
cuore, così come ammonisce il primo comandamento: "Ama il Signore, il Dio tuo, con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente", perché non possiamo servire Dio e mammona, o Dio e qualcun altro, che sia anche "me stesso" o chiunque altro ritengo per me prioritario rispetto a Dio.
Persino per i miei famigliari è detto: "Perché se amate vostro padre e vostra madre più di me, non siete degni di appartenermi; se amate vostro figlio o vostra figlia più di me, non siete degni di essere miei" (Mt 10:37).
Senza Dio al primo posto nel nostro cuore, non saremo come Lui ci vuole;
non sono il bene e il male che facciamo che ci salvano o ci condannano;
non sono le buone opere che compiamo a valere in se per il Regno di Dio ma solo ciò che facciamo alla gloria di Dio.
Questa scomoda verità è spesso trascurata, quasi nascosta dalle stesse chiese, che cercano sempre più il consenso del mondo anziché quello di Dio e dal mondo infatti ricevono il loro compenso.
Pensate al papa di turno che viene acclamato e osannato dalle folle immense che si radunano sotto le sue finestre, anche se molti di loro non sono nemmeno credenti, ma la sua popolarità nel mondo e per il mondo, ormai gli vale questa e altre ricompense terrene.
Pensate anche alla piccola Chiesa Valdese (meno di 20.000 membri) che però raccoglie oltre 600.000 consensi con l'8xMille a cagione delle buone opere che compie con quel denaro; eppure non riesce a trovare il denaro necessario per mantenersi e mantenere il propri pastori.
Un grande premio per le opere del mondo ma un piccolissimo premio, insufficiente, per le opere di Dio; non è anche questo un controsenso?
Come credenti siamo perciò chiamati a riflettere attentamente su questo insegnamento perché se il premio del mondo oggi è cosa piacevole da ricevere, per le nostre opere umane, a che ci saranno valse tali opere se poi non ci saranno riconosciute nel giorno finale?
Per cosa vive e opera un credente? Lo fa forse per la sua gloria e il suo piacere terreno? O non lo fa piuttosto per la speranza che ci viene in Gesù Cristo per il Regno di Dio?
Concludo con le parole dell'Apostolo Paolo che nella sua 1° Corinzi cap 15:9 scriveva "Se essere cristiani ha valore per noi soltanto in questa vita, allora noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini!"
Meditiamo fratelli, meditiamo su quello che Dio ci chiede veramente di fare per essere a lui graditi e soprattutto su come lui vuole sia fatto. AMEN