La santità, ovvero la possessione divina

esti: Romani 7:14-20; Luca 22:39-42

 

L’Apostolo Paolo s’interroga su come sia possibile per un uomo (essere carnale), fare la volontà di Dio (essere spirituale)? Io, uomo, sono un essere carnale, nel quale abita il peccato, e ammetto che il peccato, cui io sono stato venduto, mi rende incapace di compiere il bene, ossia di fare la volontà di Dio, pur avendone la volontà di farla, ne sono incapace, al punto che (sconfortato) il bene che voglio non lo faccio, mentre il male che non voglio, quello faccio!

Sembra un dilemma insolubile per un uomo, sia pure un credente, che ha fede nella Parola di Dio, come tanti credenti, oggi come ieri, ma che nonostante il loro impegno etico, non riescono a piacere a Dio in tutto, come Lui ci chiede.

Vi è dunque una soluzione, una via d’uscita, da questo apparente paradosso?  

Sì, la via d’uscita c’è, e ce la indica proprio Gesù Cristo, poco prima d’affrontare il suo martirio.

Gesù era vero Dio, in quanto figlio di Dio, ma anche vero uomo, in quanto figlio dell’uomo.

Come Cristo conosceva, per aver visto con i propri occhi, quelli che per noi credenti sono ancora i misteri di Dio, cui possiamo accostarci soltanto per fede. In quanto Dio sapeva dunque che dopo la sua morte, sarebbe seguita la sua risurrezione, eppure in quanto uomo sentiva tutta la tensione che gli provocava la sua scelta di morire in croce per la salvezza umana, al punto di pregare il Padre, che se fosse stato possibile percorrere un’alta strada, di allontanare da lui quel terribile calice. Qui è palese l’umanità di Cristo, figlio dell’uomo, che emerge e se possibile lo avvolge fino a sprofondarlo nel dubbio che la morte porta sempre con sé.

Gesù avrebbe potuto cedere, lasciarsi vincere dalla disperazione, tradire Dio, perché la sua umanità in quel momento lo rendeva debole e preda di ogni possibile tentazione, ma ecco che Gesù fa l’unica scelta giusta che in un momento così terribile ma cruciale potesse fare, e dice: “non la mia volontà sia fatta, ma la tua sia fatta”.

Sì, la volontà di Dio è l’unica scelta giusta che un uomo possa compiere per vincere la debolezza della propria carne, che altrimenti lo porterebbe inevitabilmente a fare non ciò che lui vuole ma ciò che non vuole, ciò che gli impone la carne. L’uomo da solo non può vincere il peccato della carne perché il peccato sarà sempre più forte della sua volontà, del suo istinto di conservazione diremmo noi oggi.

Gesù infatti spiega bene ai suoi discepoli che: “se uno vuole venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16:24)

Che cosa significa veramente rinunciare a sé stesso? È la rinuncia della propria umanità, intesa come l’ego personale, l’IO, l’istinto di autoconservazione che è insito in ogni essere vivente, cioè di carne. Soltanto chi è disposto a compiere questa rinuncia può piacere a Dia in tutto, e gli permette di affermare, come l’Apostolo Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2:20).

Nella tradizione popolare, questo stato è conosciuto come “santità o santificazione” del credente; è quello stato in cui il credente è in piena e perfetta comunione col Signore, al punto che la sua volontà è perfettamente allineata con quella di Dio, e Dio agisce attraverso (servendosi di) lui per compiere le sue opere, anche mediante quelli che sono considerati i “miracoli”, cioè segni divini che un uomo da solo non sarebbe mai in grado di fare.

La santificazione non è tuttavia uno stato che si possa acquisire da un giorno all’altro con un singolo atto di volontà, bensì il traguardo di un (lungo) cammino con il Signore, come evidenziato da John Wesley, che identificava la stessa come la perfezione cristiana. È quindi chiaro che non basta una semplice dichiarazione di volontà, di volere servire Dio con tutto sé stesso per diventare santo, ma occorre sempre compiere un cammino, che se anche non dura tutta la vita terrena di un credente, certo richiede un tempo assai lungo. Alla base dello stesso sta comunque l’atto di rinuncia a sé stesso che il Signore ci richiede; quell’atto che serve a riconoscere che da soli, con i propri sforzi, non si potrà mai piacere a Dio, ma che occorre lasciare che a compiere la trasformazione sia Dio stesso. Quando saremo pronti a fare questo passo, ciò a compiere questa rinuncia, ammetteremo senza troppe difficoltà che noi ci mettiamo completamente nelle mani di Dio, affinché Lui ci faccia compiere ciò che da soli non saremo mai in grado di fare per arrivare a compiacerlo in tutto.

La santificazione, o piena comunione con Dio, è dunque cosa diversa dall’ubbidienza alla Legge o alla semplice osservanza dei principi etici che sono contenuti nella Scrittura. Certo ubbidire ai precetti della Scrittura è il primo passo per avvicinarsi a Dio, al punto che molti credenti pensano ciò sia sufficiente per piacere a Dio, ovvero che questo basti per essere in comunione con lui, ma una tale semplificazione non corrisponde al vero, perché benché la Legge sia stata data da Dio agli uomini per regolare la loro vita sociale, come spiegò Gesù, questa non basta per avere una piena e completa comunione con Dio: “Invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Mc 7:7). Questi precetti servono per quaggiù, ma non sono sufficienti per farci arrivare alla piena comunione con Lui e quindi al regno di Dio.

Se noi al posto del termine santificazione, che pure è molto forte, sostituissimo quello di “possessione divina”, sarebbe più chiaro ciò che Dio si aspetta da noi con l’atto di rinuncia a noi stessi.

Solitamente noi usiamo il termine possessione in senso negativo, proprio con riferimento alla possessione demoniaca, che è lo stato in cui una persona è definita “indemoniata”.

Ora per diventare indemoniato non basta certo dichiarare di adorare il demonio e di votarsi a lui;

sicuramente una tale dichiarazione ed inclinazione ci predispone ad essere più facilmente reclutati da Satana, ma non ci rende indemoniati da un giorno all’altro;

anche nell’avvicinarsi al Male occorre un cammino di preparazione che comporta un progressivo allontanamento da Dio, ma anche una contemporanea rinuncia a sé stesso per darsi totalmente, consapevolmente e volontariamente al Male.

Così come vi è una notevole differenza tra un santo e un credente, vi è la stessa distanza tra un indemoniato (posseduto dal diavolo) e un peccatore.

Un peccatore è una persona che per un qualunque motivo si è (temporaneamente) allontanato dalla volontà di Dio per aver compiuto atti contrari alla volontà divina, causa la debolezza della sua carne (il peccato che abita in noi e che ci impedisce di compiere la volontà di Dio senza il suo aiuto), ma questo non preclude affatto il suo ritorno al Signore; un atto di pentimento (come un credente ne compie di continuo nella sua vita) è sufficiente a cancellare il peccato e riavvicinarlo alla grazia di Dio, pronto di nuovo a iniziare, o riprendere, il suo cammino di santificazione. È quindi chiaro che un peccatore, per quanto incallito, ha solo ceduto alle sue debolezze carnali, senza per questo rifiutare Dio in modo aperto e definitivo.

Un indemoniato invece ha fatto una scelta consapevole, che lo ha portato ad abbandonare Dio per asservirsi al suo avversario, a Satana, in modo libero, cosciente e volontario; non ha quindi semplicemente ceduto al peccato a causa della carne che lo abita, ma ha accolto Satana come suo signore e padrone al posto di Dio, rinnegando quindi Dio Padre, il Signore Gesù Cristo e il Santo Spirito, come scelta consapevole. Il demonio concede la piena comunione (possessione satanica) ai questi suoi adepti e anche il potere di agire (per lui e attraverso di lui).

Costoro (al di là dei sempre possibili esorcismi per scacciare il demonio), sono privati dalla grazia di Dio e quindi della possibilità di salvezza, che fino all’ultimo ogni uomo (per quanto grande peccatore), ha sempre di tornare in piena e perfetta comunione con Dio e quindi di entrare nel Regno Celeste del suo figliolo Gesù Cristo.

La Scrittura di dice quindi cosa deve fare l’uomo per piacere a Dio e quindi per ereditare la vita eterna, poi ogni uomo sceglie cosa fare della sua vita terrena (dono di Dio);

decide se spenderla per entrare nella piena comunione con il suo creatore (santificazione o possessione divina);

se usarla per il suo personale tornaconto, sia nel bene (agendo secondo le leggi umane e ricevendo quindi un premio umano che è una buona vita quaggiù sulla terra), sia nel male (agendo contro le leggi umane e patendo un castigo per la sua cattiva condotta);

oppure accettando la comunione col maligno (possessione e asservimento a Satana), ricevendone potere e ricchezze quaggiù sulla terra, ma un’esistenza di eterni tormenti nella vita futura insieme ai demoni che popolano l’inferno.

Queste sono le possibilità che il Signore ci offre, (ovvero le alternative che ci prospetta) come riportate nella Scrittura;

nessun uomo conosce il destino degli altri uomini che sono attorno a lui; soltanto Dio è l’unico cui spetta il supremo Giudizio, quindi ognuno si regoli secondo la sua coscienza intanto che ha ancora la possibilità di scegliere il suo destino. AMEN