L'umiltà precede la gloria
Testo: Genesi 39:1-20; 2Corinzi 4:8-11
Il primo testo di oggi fa parte della storia di Giuseppe, l'ultimo degli antichi Patriarchi biblici.
Solitamente quando pensiamo a Giuseppe lo vediamo nelle vesti del saggio governatore d’Egitto che, con l’aiuto di Dio, riesce a prevedere la carestia che colpirà il paese e quindi a salvare tutti, compresa la sua stessa famiglia; vediamo perciò una storia di successi ed è questo che ci piace ricordare di Giuseppe.
La vita di Giuseppe però non è stato un cammino in discesa; il brano di oggi ci ricorda proprio della parte meno piacevole della sua vita.
Giuseppe non era il primogenito di Giacobbe, tuttavia, era il figlio maggiore di Rebecca, la moglie prediletta di Giacobbe e per questo riceveva dal padre un trattamento di favore, il che ha finito per suscitare l’invidia dei suoi fratelli maggiori. Possiamo anche immaginare che Giuseppe provasse una sorta di compiacimento a causa della sua situazione privilegiata e che proprio per questo i suoi fratelli lo odiassero, al punto che un giorno pianificarono di ucciderlo, e fu solo per un evidente intervento divino che rinunciarono al loro malvagio proposito e decisero invece di venderlo a dei mercanti arabi che lo portarono schiavo in Egitto.
Nonostante questa situazione per nulla piacevole, Giuseppe però non tradisce la sua fede nel Signore e Dio non si scorda di lui perché, come schiavo nella casa del capitano delle guardie del faraone, si guadagna il favore del padrone di casa che gli assegna un incarico di fiducia.
Quando per Giuseppe le cose sembrano mettersi bene però, un’altra dura prova lo attende; lui è un giovane di bell’aspetto e suscita presto i desideri carnali della moglie del suo padrone. Giuseppe però è fedele al suo padrone e a Dio e quindi rifiuta le sue avance. La donna si vendica accusandolo falsamente di stupro e a questo punto Giuseppe finisce in prigione, ancora una volta ingiustamente, vittima della vendetta e dell’ingiustizia umana.
Anche in questa difficile situazione, cui nessuno di noi vorrebbe mai trovarsi, in carcere innocente, Giuseppe non perde la sua fede nel Signore e il Signore lo benedice ancora facendogli vedere il futuro attraverso altri sogni. Sogni che serviranno a Giuseppe per predire il futuro del coppiere del faraone in carcere anche lui innocente, e a cui Giuseppe predice invece un futuro radioso, che poi si avvererà.
A questo punto Giuseppe spera in una sua imminente liberazione; speranza però presto delusa perché Giuseppe dovrà prima scoprire anche che cosa sia l’ingratitudine umana. Ma nemmeno questo però gli fa perdere la fede nel Signore, e il Signore per questo è ancora con Giuseppe.
Ora cari fratelli in Cristo, interroghiamoci; chi di noi vorrebbe davvero essere nella condizione di Giuseppe a questo punto? Odiato e tradito dalla sua famiglia, venduto come schiavo, accusato ingiustamente e imprigionato, poi abbandonato e dimenticato in carcere. Ce n’è abbastanza per disperarsi, per accusare Dio di essere ingiusto, persino per maledirlo. Quanti di noi di fronte a delle palesi ingiustizie sono pronti a puntare il dito contro il Signore per il male che stanno subendo? Io credo siano in molti a farlo, oggi come ieri; invece Giuseppe continua a confidare nel Signore, sia nella buona, sia nella cattiva sorte.
Giuseppe sa che il Signore ha un piano che va ben oltre la sua vita, di cui lui è soltanto un semplice strumento, o un mero esecutore, e non si scosta dalla sua fede. Alla fine anche il faraone ha un sogno da interpretare e dopo aver inutilmente cercato chi potesse farlo, ecco che grazie al coppiere, sia pure con molto ritardo, riesce a trovare le risposte da Giuseppe.
A questo punto la vita di Giuseppe giunge ad una svolta radicale: da carcerato a Governatore d’Egitto. La sua fede nel Signore gli ha permesso di superare tutte le prove.
La sua fedeltà al Signore è stata premiata, però lo attende un’altra prova; Giuseppe ha sì dimostrato di avere una fede incrollabile nel Signore, ha patito ogni sorta di ingiustizia senza mai perdere la fede, però il Signore gli ha riservato un’ultima prova, quella più importante di tutte: Giuseppe deve dimostrare di sapere perdonare coloro che gli hanno inflitto il male ingiusto, deve perdonare i suoi fratelli e dimostrare al Signore che lui ha compreso il suo insegnamento; che ha portato a termine il suo cammino di santificazione, (direbbe John Wesley) per essere veramente degno del premio che Dio riserva ai suoi fedeli. Giuseppe supera anche questa prova e si dimostra il servo fedele di Dio, e Dio gli ha concesso la corona della gloria, quella che tutti noi tanto ammiriamo in Giuseppe.
Quanti di noi sarebbero però capaci di un tale gesto? Troppo spesso di fronte alle molte ingiustizie che ci colpiscono noi meditiamo piuttosto la vendetta e pensiamo di averne diritto, come fosse una sorta di “risarcimento”, rifiutando così il perdono di Dio e anche il perdono a noi stessi, poiché noi preghiamo Dio di rimetterci i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori….
È scritto altresì che Dio corregge coloro che ama, ma noi spesso rifiutiamo la correzione e invece di ravvederci preferiamo chiederci: “perché il Signore ha permesso che subissimo quelle ingiustizie?”
Quasi mai noi pensiamo che le prove cui Dio ci sottopone siano per il nostro bene, per la nostra maturazione spirituale e che proprio attraverso le prove noi procediamo nella via della santificazione. Preferiamo indignarci e scendere in piazza a contestare, invece di porre in Dio tutta la nostra fiducia, sicuri che la sua mano potente ci libererà, certi che il suo volere sia la garanzia per noi che ogni vicissitudine che ci colpisce è vista e valutata dal Signore per la nostra edificazione.
La scrittura ci insegna che se Giuseppe non fosse stato provato, raffinato da Dio con queste prove, non avrebbe potuto compiere la missione di Dio; allora impariamo a guardare con occhi diversi, con gli occhi della fede, le prove cui ciascuno di noi è sottoposto e soprattutto impariamo a riporre la nostra fiducia in Dio più che in noi stessi e negli uomini, poiché se facciamo questo, come fece Giuseppe, alla fine raccoglieremo il premio che Dio ci ha riservato.
Qualche pseudo-credente oggi obietta che la storia di Giuseppe è appunto solo una storia e che pertanto non possiamo davvero pensare che possa essere un esempio per qualcuno di noi; ebbene, se qualcuno anche fra di voi pensa veramente che Giuseppe non sia mai esistito, che sia un mito, come sostengono gli studiosi storico critici della Bibbia, vorrei dirvi che noi abbiamo visto con i nostri occhi un nostro fratello di fede che ha ripercorso le orme di Giuseppe proprio ai nostri giorni, dimostrando che riponendo la propria fiducia nel Signore la storia di Giuseppe è vera per chiunque di noi; mi riferisco al fratello metodista Nelson Mandela.
Nelson Mandela, recentemente scomparso, è unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi leader del secolo scorso perché, dopo aver passato 27 anni della sua vita in carcere innocente, solo per aver difeso i diritti della sua gente, ad opera di uomini che di fatto erano suoi fratelli perché suoi connazionali, dopo la sua liberazione, ha saputo operare per la riconciliazione e il perdono per quelli che una volta erano i suoi nemici e persecutori, mettendo da parte ogni forma di vendetta, quando invece molti altri oppressi, una volta conquistato il potere, si sono abbandonati alle più spietate delle vendette.
Nelson Mandela però, come Giuseppe, era un vero credente, un uomo timorato di Dio; ora non abbiamo dubbi su questo e il Signore era con lui, non solo quando era rinchiuso nella cella del carcere da innocente ma anche quando è diventato Presidente del Sudafrica, così come quando Giuseppe è diventato governatore d’Egitto.
Dio certo non si compiace del male e delle ingiustizie, ma permette che siamo provati anche con queste, se proprio il male subito e le ingiustizie sofferte ci permetteranno poi di essere uomini e donne migliori; credenti pronti a servire il Signore come piace a Lui.
Certo sia Giuseppe, sia Nelson Mandela, sono stati uomini eccezionali, destinati ad incarichi eccezionali, e quindi anche le loro prove sono state molto dure; non di meno anche per noi, come per loro vale la regola "chi vuole venire dietro me, rinuncia a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua...".
Giuseppe si mise nelle mani di Dio, imparò prima a non dubitare, poi a lasciarsi guidare da Dio in ogni cosa, secondo la Sua volontà, ed infine ad avere fiducia in Lui contro ogni umana evidenza. Così come è scritto: "l'umiltà precede la gloria", alla fine anche la gloria è arrivata, ma solo attraverso l'umiltà (il carcere, la sofferenza, l'ingiustizia patita) perché soltanto chi è veramente pronto a rinunciare a sé stesso per il Signore è altresì pronto per condividerne la gloria.
Quando Nelson Mandela è diventato Presidente del Sudafrica, così come quando Giuseppe è diventato Governatore d'Egitto, entrambi erano pronti per governare con saggezza, amore e misericordia perché il loro cuore era stato raffinato da Dio attraverso una serie di prove che li avevano preparati.
Dobbiamo allora passare tutti per il carcere, per le persecuzioni e per le ingiustizie per piacere a Dio? No, non necessariamente, ma sicuramente dobbiamo tutti umiliarci davanti a Dio, dobbiamo rinunciare al nostro ego, al nostro “IO”, che tanto ci piace e di cui tanto ci compiacciamo ogni volta che riusciamo in una qualche impresa, per abbandonarci nelle mani di Dio che deciderà per noi, per ciascuno di noi, di volta in volta, quali prove dovremo affrontare per piacere a Lui, per eseguire gli incarichi che Lui ci vuole affidare.
Ricordiamoci sempre che: “Dio riprende colui che egli ama, come un padre il figlio che gradisce” (Pv 3:12), impariamo quindi a non vedere nella riprensione un male, bensì il necessario intervento di Dio affinché noi siamo migliori ai suoi occhi, e di conseguenza non compiacciamoci dei successi ottenuti ma piuttosto del cammino che compiamo col Signore, perché anche le nostre prove più dure sono il segno che il Signore ci ama e ci sta seguendo come un Padre amorevole. AMEN