Mantenere la rotta

Testo: Filippesi 3:12-17

 

L’uomo pensa spesso che la sua vita sia un diritto acquisito, che dopo essere venuto al mondo per opera dei suoi genitori, abbia la piena disponibilità della sua vita, lunga o corta che sia, fino al momento della sua inevitabile morte.

Pochi in verità si chiedono il perché siamo venuti al mondo;

molti invece danno per scontato che essendo nati possono vivere la propria vita in base alle loro possibilità e capacità.

Soltanto i credenti comprendono che è la fede in Dio che ci chiarisce lo scopo della nostra vita, che ci spiega il perché noi siamo stati creati e quale sia il progetto che il nostro creatore ha per ciascuno di noi.

Lo scopo della vita di un credente è quello di servire e compiacere Dio, il nostro Padre Celeste, fattoci conoscere dal suo Figliolo Gesù Cristo;

mediante la fede in Cristo la nostra vita assume uno scopo e riceve una missione da parte sua, non lasciandoci “orfani” a vivere una vita senza significato.

Per contro i non credenti trovano il significato della loro vita in tutte le cose materiali e terrente di cui possono godere, e non sentono la necessità di dover servire un Dio che non hanno mai conosciuto, se non da un punto di vista puramente intellettuale.

L’Apostolo Paolo nella sua lettera ai Filippesi confessa quale sia la sua posizione nel cammino della vita con Cristo, e dice: “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù”.

La consapevolezza di Paolo di non aver ancora raggiunto la meta è quella che ogni credente acquisisce durante il suo cammino, compiuto col Signore, giorno dopo giorno, passo dopo passo...

Il cammino col Signore, infatti, non è mai una passeggiata spensierata, ma piuttosto un percorso ad ostacoli;

ostacoli che il più delle volte ci sono posti innanzi da principe di questo mondo, che si diverte a mettere alla prova la fede di coloro che si professano credenti, anziché abbandonarsi ai piaceri del mondo come fanno i suoi adepti.

Fino a quando siamo quaggiù sulla terra, noi non riusciremo mai a raggiungere la meta che Gesù ha fissato per noi, e Paolo, ben consapevole di questo, confessa ulteriormente: “Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù”.

Se quella del credente è una corsa ad ostacoli però, noi la corriamo sotto lo sguardo amorevole del nostro coach, Gesù Cristo, che ci invita a proseguire senza mollare mai;

noi credenti siamo tutti chiamati a qualcosa di ben più che un umano “tirare avanti”. Nonostante gli ostacoli e i venti contrari, dobbiamo proseguire con perseveranza nella conoscenza di Dio che produce consacrazione, senza lasciarsi rallentare da distrazioni e passioni mondane.

Guai poi a sentirsi arrivati, pensando di non aver più nulla da imparare! Chi crede di non aver più nulla da arrendere alla volontà di Dio, sta già lasciandosi trascinare lontano dal Signore, come una barca portata via dalla corrente.

Paolo, infatti, ci esorta ancora: “Soltanto, dal punto a cui siamo arrivati, continuiamo a camminare per la stessa via”, perché nelle vie di Dio, l’andatura non è tutto, c’è qualcosa di più vitale: andare nella giusta direzione.

Quando siamo presi dalla fretta di arrivare ad un traguardo, non dobbiamo essere avventati. In questi casi meglio è fermarci a riflettere e domandarci se stiamo calcando le orme di Gesù come ci invita ancora a fare Paolo: “Siate miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che camminano secondo l'esempio che avete in noi”.

Soltanto rimanendo in comunione con il Signore sapremo quando continuare, ripartire o tornare indietro, senza sprecare tempo ed energie in deviazioni inutili.

Camminiamo dunque per la stessa via, quella di Cristo. AMEN