Non abbiate paura

Geremia 10: 1-3a; 18-24

 

I Profeti non hanno mai avuto vita facile nell’antico Israele; benché fossero “uomini di Dio” mandati per riaffermare il suo volere al popolo e ai governanti di turno, quest’ultimi non accoglievano con troppo favore i richiami al ravvedimento che i Profeti lanciavano loro, e, salvo rare eccezioni, i re hanno sempre visto nei Profeti degli elementi destinati a destabilizzare l’ordine costituito dalla tradizione, nonché mettere in discussione il loro potere.

Tutto sommato questo è logico, poiché un Profeta ha una sua validità soltanto se annuncia qualcosa di nuovo, mentre sarebbe del tutto inutile se si limitasse a ribadire le cose che sono già note. Ma, proprio perché gli annunci dei Profeti il più delle volte erano destinati a infrangere quel senso di sicurezza derivante dal noto della tradizione, ecco che spesso il re di turno si scagliava contro il Profeta che lo richiamava alle sue responsabilità di fronte alla Legge di Dio.

Tra tutti i Profeti però, Geremia, è forse quello che più di ogni altro ha subito delle dure reprimende, sia nel suo tempo, quando il re Sedechia lo fece imprigionare, sia ai nostri giorni, quando è spesso “dimenticato” anche nelle nostre Chiese, poiché il suo annuncio, allora come ora, suscita in noi un senso di fastidio, perché ci annuncia un castigo di Dio non rivolto ai nostri nemici o oppressori, ma proprio destinato a noi, a causa delle nostre mancanze di fronte al Signore.

Agli antichi Israeliti Geremia annunciava la decisione di Dio di deportarli prigionieri a Babilonia, e di punire i re di Giuda per la loro idolatria, e questo bastò affinché il re Sedechia si accanisse contro di lui e lo facesse rinchiudere in un pozzo, e dal popolo fosse visto come una sorta di “traditore e menagramo” poiché non solo non profetava contro i Babilonesi che stavano per invadere il paese, ma addirittura diceva di accoglierli senza opporsi a loro, perché quella era la volontà di Dio!

Questo modo di ragionare per noi oggi risulta completamente estraneo dal nostro pensiero, perché rifiutiamo di considerare qualsiasi minaccia o male che ci sta per colpire come una “punizione divina”, come se Dio non avesse più diritto di punire i suoi figli per redimerli, o come sostengono molti, perché “Dio è buono, e non possiamo imputare a Lui nessuno dei mali che ci colpiscono, ma li dobbiamo imputare soltanto a noi stessi”.

Questi due modi di ragionare, a noi ormai molto famigliari, anche come credenti, sono tuttavia lontani dagli insegnamenti che troviamo nella Scrittura; proprio perché Dio ci ama di un amore infinito, come Padre amorevole non rinuncia al suo diritto di punire i suoi figli che si stanno perdendo su strade d’errore, e se lo fa al solo fine di ricondurli alla retta via, nondimeno è anche un riaffermare il suo diritto divino su di noi.

Noi però non amiamo nessun tipo di punizione, né tantomeno avere qualcuno sopra le nostre teste che decida per noi, quindi anche di fronte a un male grave che ci costringe a riconsiderare la nostra vita, sia esso individuale o collettivo, preferiamo non collegarlo all’azione di Dio, per non dover ammettere che quel male sia la conseguenza dei nostri errori, ossia dei nostri peccati.

Ora care sorelle e cari fratelli in Cristo, è fin troppo facile vedere una pandemia, o pestilenza, che colpisce l’umanità come il nuovo flagello di Dio, così com’è facile non trovarvi collegamento, a seconda del nostro credere o meno; come credenti però non possiamo ignorare che nulla accade sotto il sole che Dio non voglia o non permetta, e quindi anche il Covid 19 rientra in questa categoria.

Quello che però conta veramente non è tanto ciò che Dio ha in mente per richiamarci all’ordine, bensì quale reazione noi intendiamo adottare di fronte a questo suo richiamo.

Sarà una reazione di ribellione? Ossia come fecero gli israeliti, ce la prenderemo con Geremia e lo metteremo in prigione perché ha osato proferire una verità scomoda, che nessuno voleva ascoltare?

Oppure sarà una reazione più moderna, che fingerà di ignorare Dio, stabilendo che Dio non centri nulla in questa Pandemia perché, se Dio non esiste, o se Dio è troppo buono per punire, non è possibile che sia stato Lui a mandare o permettere questa pandemia?

Se la nostra reazione sarà tra queste, allora succederà che invece di invocare il perdono e l’aiuto di Dio, cercheremo di fare da soli, ossia adotteremo tutte quelle drastiche misure che dovrebbero tutelarci dal virus, compreso la chiusura delle Chiese e lo stare lontano dai fratelli e dalle sorelle per timore che essi siano veicolo di contagio.

Certo queste mie parole vi suoneranno provocatorie, forse altrettanto provocatorie di quelle di Geremia che invitava gli israeliti a non opporsi ai Babilonesi, che li stavano invadendo e rendendo prigionieri per deportarli in Babilonia, bensì ad accoglierli benevolmente, perché quella era la volontà di Dio!

Geremia però era chiaro nel riferire il volere di Dio: “Così parla il Signore: «Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Infatti i costumi dei popoli sono vanità”.

Non abbiate paura dei segni del cielo”, così li esortava allora, e ci esorta ancora oggi Geremia, cioè Dio, che parla per bocca del Profeta; tutto ciò che arriva dal cielo, come una pestilenza di cui noi non ne conosciamo le origini, certo non è cosa ignota a Dio, che l’ha permessa o voluta, e di cui ha il pieno controllo, cosa che non abbiamo noi, nonostante tutta la nostra scienza e capacità.

I nostri tentativi di arginarla, per quanto lodevoli, altro non sono che i tentativi degli israeliti di sbarrare la strada ai Babilonesi, molto più forti di loro, e quindi se non inutili, di certo controproducenti, se dietro di loro c’era la volontà di Dio, diretta a che il suo popolo ricevesse invece un messaggio di ravvedimento.

Questo però gli israeliti non lo volevano capire, o meglio non lo volevano accettare, nonostante la perorazione di Geremia, ma questo non li sottrasse alla deportazione in Babilonia.

E noi cosa vogliamo fare? Limitarci a “camminare nella via delle nazioni”, facendoci chiudere in casa per la paura di un morbo feroce, ma di cui il Signore ha il pieno controllo, oppure confidare nel Signore con tutto il cuore e affidare la nostra salvezza alle sue mani?

Sono le mie parole provocatorie? Sì, care sorelle e care fratelli nel Signore, oggi lo sono, come lo erano quelle di Geremia, senza pretesa di fare oggi il novello profeta, ma semplicemente ricordando che noi siamo figli di Dio, fratelli nella fede di Gesù Cristo, e che non ci sono morbi che possano incuterci paura, se veramente ci affidiamo a Lui con tutto il cuore.

La paura uccide, la fede salva!

Se è stata la mancanza di fede di molti a scatenare l’ira di Dio, piuttosto che non il peccato nei confronti di Dio, avendo noi commesso una serie di abusi dell’opera di Dio, quella che molti non credenti definiscono “la natura che si ribella e ci si rivolta contro”, noi oggi abbiamo l’opportunità di ravvederci da nostro peccato ricercando l’aiuto del Signore in questo frangente, pentendoci del nostro tradimento verso i moderni idoli che vogliono ancora una volta, come al tempo di Geremia, spodestare Dio dal trono di gloria per mettervi pezzi di legno o di metallo fatti da mani d’uomo.

Smettiamo quindi di avere paura, di rinchiuderci come tante pecore in ovili le cui mura non possono proteggerci dai lupi famelici, ma affidiamo la nostra vita alle mani di Cristo; questa è l’unica vera soluzione che possiamo trovare a questa Pandemia e a tutte le altre minacce che ci arrivano giorno dopo giorno, quando incamminatoci su una strada diversa da quella indicataci dal Signore, ci ritroviamo soli, sperduti e impauriti.

Perciò care sorelle e cari fratelli nel Signore, rivolgiamoci umilmente a Dio con lo stesso spirito di Geremia che conclude dicendo: “Signore, correggimi, ma con giusta misura; non nella tua ira, perché tu non mi riduca a poca cosa!” AMEN