Non rifiutare

Testo: Matteo 23:37-39

 

Le parole di Gesù pronunciate al suo ingresso a Gerusalemme, prima della sua crocifissione, suonano come l’ultimo appello lanciato da Dio al suo Popolo Santo, ad Israele, il suo tesoro particolare che Dio si era costruito, o forse sarebbe meglio dire, aveva cercato di costruirsi, con la chiamata di Abramo e poi con Mosè, fino appunto all’ultima chiamata con l’invio di suo figlio Gesù Cristo.

Anche questo ultimo, disperato, appello, però è caduto nel vuoto.

Come sappiamo la chiamata di Mosè alla fine si è rivelata inconcludente, poiché il popolo d’Israele ha ripetutamente voltato le spalle al proprio Dio, concedendosi ogni sorta di deviazione verso il peccato di tradimento al proprio Dio, e questo nonostante gli innumerevoli richiami dello stesso e gli altrettanto numerosi perdoni offerti ai peccati del popolo.

Gesù Cristo era davvero l’ultima chiamata al ravvedimento offerto da Dio Padre al suo popolo, ma anche questa volta l’appello è caduto nel vuoto e, amaramente, Gesù Cristo stesso constata questo rifiuto e dichiara apertamente: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Infatti vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”.

Quello che è accaduto dopo non è scritto nella Bibbia, ma lo possiamo facilmente trovare nei testi storici, che ci raccontano come il popolo d’Israele sia stato disperso tra le nazioni per quasi duemila anni, ossia “la casa lasciata deserta” della maledizione di Dio, che si è concretizzata nella seconda punizione a Israele, dopo la prima deportazione, quella Babilonese, ma in questo caso non per soli settanta anni.

Il rifiuto d’Israele, come sappiamo, si è trasformato in un’opportunità per il resto dei popoli, ovvero tutti i popoli che fino a quel momento non avevano conosciuto il Dio Creatore, ma avevano adorato altri dèi, per mezzo di Gesù Cristo sono stati “adottati” da Yahweh, Dio Padre, con la sola condizione di credere in Gesù Cristo come suo unigenito figlio.

Quale benedizione ci è toccata senza alcun merito!

E’ bastato un rifiuto per condannare il popolo santo, i figli originari di Dio, l’ulivo reciso di cui ci parla Paolo, così come è bastato un atto di fede di chi prima era estraneo per essere accolti tra i figli di Dio, per essere innestati nell’olivo, noi che eravamo gli olivi selvatici di Paolo!

Ora cari fratelli in Cristo, possiamo ben vedere quale differenza faccia il rifiutare o il non rifiutare la chiamata e il perdono di Dio!

Se Dio, a causa di un rifiuto, ha così duramente condannato Israele che era il suo popolo eletto, pensate cosa potrà fare a coloro che, non essendo popolo eletto, se non per grazia di Cristo, rifiuteranno proprio Cristo e il suo sacrifico salvifico!

Rifiutare Cristo come nostro personale salvatore, giacché ora il nuovo popolo santo di Dio non è più contraddistinto da una stirpe, una razza o una popolazione particolare, ma è comporto da tutti gli uomini e le donne, di qualsiasi etnia, razza o popolazione, che personalmente avranno accettato Cristo in questa vita, per tutti quelli che rifiuteranno Cristo non ci sarà speranza alcuna, come ci spiega ancora la Scrittura: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui” (Gv 3:36).

Al pari degli israeliti, gli altri uomini e donne che rifiuteranno Cristo, non avendo voluto essere raccolti dal Signore, essi saranno dispersi. Non avendo voluto la salvezza saranno perduti. Quale immensa perdita, che triste condizione, che tragica prospettiva!  

Anche oggi Dio ci sta offrendo la Sua grazia, il perdono dei peccati, la certezza della vita eterna: non rifiutiamo il Suo invito.

Egli vuole stendere le ali della Sua misericordia su tutti gli uomini e le donne che oggi vivono sulla faccia della terra per trasportarti nel Suo regno celeste. Rispondiamogli oggi: “Lo voglio Signore”!

AMEN