Salvare o perdere la propria vita
Testi: Mt 16:24-27
In tutta la Scrittura è ripetuto un messaggio fondamentale: in taluni passi emerge con forza, in altri è quasi sussurrato, ma ovunque non si cessa mai di ricordare all’uomo che la sua vita presente, ma soprattutto quella futura, dipendono dalla sua fedeltà al Signore.
All’uomo è lasciata la libertà di scegliere se servire Dio oppure no, nondimeno dalla sua scelta dipenderà anche il suo destino. Dio è molto chiaro su questo punto: “voi non potete servire Dio e mammona” recita il passo di Luca 16:13, ovvero non si può tenere il piede in due scarpe, come spesso vorremmo comportarci noi, quando fare una scelta definita ci spaventa o ci pesa troppo, perché comporta una rinuncia grande a qualcosa cui teniamo in maniera particolare.
Nel brano proposto oggi il Signore ci chiede addirittura di rinunciare a noi stessi; ma qual è l’uomo disposto a rinunciare veramente a sé stesso con leggerezza? Nessuno in verità, perché la coscienza dell’Io è così forte (istinto di autoconservazione) che ci impedisce di compiere un simile atto.
Chi rinuncia veramente a sé stesso, lo fa soltanto in casi molto estremi; pensiamo ai suicidi, che decidono di farla finita perché la loro prospettiva di vita appare così terribile da non potersi sopportare, al punto di ritenere preferibile una “non esistenza”.
All’opposto abbiamo il sacrificio estremo, quando un uomo lo compie come atto supremo d’amore per qualcuno, o qualcosa, che ha particolarmente a cuore, ma anche in questo caso si tratta di situazioni particolari, direi uniche, che sono ben lontane dalla normalità.
Quello che invece ci chiede il Signore, nella rinuncia a noi stessi, dovrebbe essere la normalità, non un atto eccezionale, o eroico. Allora com’è possibile questo? Quale condizioni si devono verificare perché ciò accada nella normale vita di ciascun uomo?
Gesù stesso ce lo spiega dicendoci: “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà”. Da queste parole comprendiamo che quello che lui ci chiede non è una rinuncia definitiva, come nel caso di un suicidio, che pone fine a tutto, bensì un atto sì di coraggio, ma anche un atto che troverà una grande compensazione e ricompensa in un prossimo futuro. Si tratta quindi di una rinuncia temporanea a fronte di un guadagno definitivo.
Così come il contadino getta nella terra il seme, apparentemente rinunciando ad esso, perché destinato a perdersi, in verità quello stesso seme germoglierà e gli verrà restituito moltiplicato sotto forma di un abbondante raccolto di spighe nella stagione successiva.
In quest’ottica il nostro Signore ci chiede di rinunciare a usare la nostra vita per il nostro interesse, ma ci invita ad utilizzarla per servire la sua causa. Questo apparentemente rappresenta una gravosa rinuncia, perché la condizione affinché questa rinuncia abbia successo è la fede totale riposta in Gesù e nella sua promessa di risurrezione.
Il contadino sa, per esperienza, che il seme gettato nella terra in autunno, produrrà il grano che poi mieterà nell’estate successiva, lo sa per averlo sperimentato più e più volte, mentre l’affidare la propria vita al Signore, spenderla al suo servizio fino, a volte, a rinunciarvi del tutto, è soltanto un atto di fede, perché non v’è alcun riscontro oggettivo finché non sarà compiuto il Giudizio di Dio, e questo spaventa molto gli uomini, al punto che i credenti veri, sono davvero molto pochi, perché senza fede, non si può compiere una scelta così radicale, e una fede talmente forte è davvero appannaggio di pochi. Soltanto coloro che si pongono nelle mani di Dio possono ricevere questa fede, e nella realtà del mondo, sempre sono stati pochi gli uomini che l’hanno fatto.
C’è un detto popolare: “tanti, maledetti e subito”, che riassume molto bene il sentiment della maggioranza degli uomini che non hanno fede, e che vivono solo in base a ciò che possono vedere e toccare, qui ed ora.
Così avviene che dalla ribellione di Adamo ad oggi gli uomini prestano raramente ascolto alle promesse di Dio per un premio eterno dopo la morte, ma preferiscono invece impegnare la propria vita per ottenere tutto ciò che possono qui ed ora.
Così avviene anche che l’aver successo nella vita, è lo scopo della maggior parte della gente; aver successo sul piano personale o finanziario, famigliare o coniugale; ciascuno ha le proprie ambizioni e molto spesso si prodiga senza risparmiarsi per realizzarle.
Questo diventa il comportamento di troppe persone che scelgono come primo obiettivo il loro successo materiale, come se Dio non esistesse e la sua promessa fosse soltanto una favola per bambini.
Costoro però non valutano con sufficiente attenzione che nel migliore dei casi, ciò che riusciranno ad ottenere durerà solo il tempo della loro vita terrena; “Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l'anima sua? O che darà l'uomo in cambio dell'anima sua?”
Tuttavia, coloro che pensano soltanto alla loro personale realizzazione e trascurano di servire il Signore perché lo ritengono troppo oneroso ed impegnativo in vista di una promessa futura ed incerta, non pongono la necessaria attenzione a tutte le promesse di Dio; infatti il Signore non si limita ad una promessa di una vita futura nei cieli ai suoi fedeli, ma già qui ed ora, sulla terra, li benedice con ogni sorta di benedizioni e non fa mai mancare loro nulla; infatti se, "a causa di Cristo" (Filippesi 3:7), rinunciamo a impegnare interamente noi stessi nella ricerca del successo su questa terra, per consacrarci alla volontà di Dio, allora Dio ci dona ciò che ci è necessario sulla terra, pur permettendoci di costituire un tesoro nel cielo per la vita eterna (Luca 12:33). Tutta la Bibbia ci insegna che Dio non resta mai debitore nei confronti di quelli che, senza scopo recondito, lo servono semplicemente perché sono suoi figli desiderosi di piacergli. Facciamo dunque bene i nostri conti, e ammassiamoci dei tesori nel cielo (Matteo 6:20) AMEN!