Salvezza per grazia mediante la fede

Testo: Romani 3: 21-30

 

Cari fratelli in Cristo si sono da poco concluse le celebrazioni per i 500 anni della Riforma; celebrazioni che in alcuni casi hanno visto anche la partecipazione della Chiesa Cattolica Romana (CCR), tuttavia, anche se oggi le Chiese Evangeliche e la CCR si parlano e si ascoltano di più rispetto alla reciproca chiusura che ha caratterizzato i secoli successivi la Riforma, la frattura lungi dall’essere ricomposta

Il dialogo ecumenico è stato un po’ come la cicatrice che si è formata sopra la ferita; in profondità la carne però è tuttora lacerata, perché le Chiese non sono ancora riuscite a trovare un’unità vera. Dopo cinque secoli di separazione non solo non è facile ritornare insieme ma la vera difficoltà sta nel superare le differenze che tale distacco ha provocato; differenze che hanno di fatto creato diversi modi di essere chiesa e di vivere la comune fede in Cristo.

Ritornare alla Scrittura, ritornare a Cristo, è condiviso ed auspicato da tutte le Chiese, ma è proprio il diverso modo di intendere la Scrittura che è fonte di divisione.

Il passo proposto oggi è una delle “bandiere del cristianesimo protestante”, in esso troviamo espresso a chiare lettere il principio della “salvezza per grazia mediante la fede” su cui noi, cristiani evangelici, basiamo gran parte della nostra vita.

A noi tutti sembrano così ovvie queste parole dell’apostolo Paolo, che ci meravigliamo di come qualcuno, che si dice cristiano, possa non comprenderne la straordinaria portata;

eppure i nostri fratelli cattolici, o sarebbe meglio dire, la CCR istituzione, pur non negando la validità di questo principio teologico, ritiene che la sola grazia mediante la fede non sia sufficiente a salvare, se la fede non è supportata anche dalle opere, per cui a questo principio di fatto ne sostituisce un secondo che potremo chiamare della “salvezza per grazia mediante le opere”.

Questo diverso modo di intendere la fede in Cristo però non è una cosa di poco conto, perché cambia radicalmente il modo di essere cristiani, ed ha delle enormi conseguenze sull’intera vita dell’uomo, sia essa spirituale, sia materiale.

Su questi due diversi modi di interpretare il messaggio evangelico il mondo cristiano da molto tempo sta discutendo e si sta confrontando; se però oggi vi ripropongo questa aspetto della nostra fede è perché, il conflitto lungi dall’essere stata risolto, esso rimane fonte non solo di divisione, ma rappresenta ancora un grave pericolo per la fede stessa.

Il passo della scrittura di Romani per i cristiani evangelici è chiaro e facilmente comprensibile: ci dice che la salvezza è stata data agli uomini per sola grazia attraverso la fede in Gesù Cristo.

Per i cattolici invece, o dovremmo dire, per le istituzioni della CCR, le opere rivestono un ruolo determinante nel raggiungimento della salvezza;

ora però chiediamoci con franchezza ed onestà: per quale motivo la CCR sostiene una simile interpretazione della Bibbia?

Vi è veramente un fondamento biblico nella dottrina della salvezza mediante le opere?

O non è piuttosto perché tale interpretazione è dettata da esigenze del tutto temporali della CCR, che sente ancora oggi, come ha sentito in passato, la necessità di controllare la grazia di Cristo ai fini economici e di potere?

Pensiamo alle famose indulgenze vendute già ai tempi di Lutero per reperire i fondi per la costruzione della cattedrale di S. Pietro, nonché al potere politico, economico e sociale che la CCR come istituzione ha sempre avuto ed ha tuttora nel mondo.

La grazia mediante la fede è un dono gratuito di Dio, e come tale e di tutti e nessuno può controllarla o “rivenderla” per trarne profitto terreno;

ma la grazia mediante le opere ha un prezzo, e tutto ciò che ha un prezzo ha anche un proprietario che decide come questo prezzo debba essere fissato e da chi debba essere pagato, e quindi nasce un potere attorno ad esso: la CCR come istituzione appunto.

Oggi, tuttavia, vorrei invitarvi a meditare su un punto che ci presenta in una veste molto attuale la questione della salvezza per grazia mediante la fede, perché nasconde un tentativo di riproporre ancora una volta la dottrina delle opere a fianco della salvezza per grazia.

Nel versetto 28 del testo di oggi è detto: “…poiché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge”;

e nel versetto 30 è detto: “poiché c’è un solo Dio, il quale giustificherà il circonciso per fede, e l’incirconciso ugualmente per mezzo della fede”.

La fede in Cristo è dunque la condizione unica e necessaria perché ogni singolo uomo possa ottenere la salvezza per grazia; non solo non ce ne sono altre, ma in mancanza della fede non si può neanche ottenere la salvezza per grazia.

Questo potrà sembrare un’affermazione molto ovvia ma, in realtà, la cosa non è così scontata per tutti.

Vi sono oggi alcuni cristiani che propongono una diversa interpretazione della Scrittura e arrivano alla conclusione che la salvezza per grazia si possa ottenere anche senza la fede, cioè senza credere in Cristo, purché vi siano le opere!

Sicuramente avrete già sentito porre da qualcuno la seguente domanda: “se una persona non credente (non cristiana per intenderci) sia esso un buddista, un indù o un animista piuttosto che un ateo dichiarato, conduce un’esistenza rispettosa del prossimo e non si macchia di gravi colpe, alla sua morte andrà in paradiso? ossia otterrà la salvezza?”.

In un tempo come il nostro dove il rispetto delle culture diverse dalla nostra è diventato un dogma, questa è una domanda più che legittima per molti, e ancora più sembra legittima e scontata una risposta affermativa.

In effetti chi risponde di sì a questa domanda, fonda la sua argomentazione sul fatto che Cristo è morto per l’umanità intera, una volta per tutte, e che quindi la salvezza è per tutti, anche per i c.d. non credenti.

Cosa rispondere a coloro che affermano questo?

La prima cosa che dovremo rispondere è proprio che a questa domanda non siamo in grado di dare una risposta, né affermativa, né negativa, perché uno solo può rispondere a questa domanda: Dio; a lui soltanto spetta il giudizio e a nessun uomo è dato di giudicare la salvezza o la condanna di un altro uomo.

Che fare dunque? Possiamo limitarci ad ignorare la questione forti del fatto che noi, come cristiani, siamo a posto avendo con la nostra fede già ottenuto la grazia salvifica?

Proviamo allora a porre la domanda in un altro modo;

ognuno di voi domandi a sé stesso: “io che sono cristiano, battezzato nel nome di Cristo e professante, se domani decido di convertirmi e diventare ebreo, mi faccio circoncidere nella carne e riconosco come mezzo di salvezza la legge di Mosè che mi impegno a seguire e rispettare, sono convinto così facendo di ottenere la salvezza?!

Ognuno di voi risponda in cuor suo a questa domanda.

Ho risposto di si? Allora vuol dire che Cristo per me è morto invano sulla croce, perché la salvezza si poteva ottenere anche mediante le opere della legge; a che mi giova credere in Cristo allora, a nulla!

Ho risposto di no? Se penso che io non potrei salvarmi se abbandonassi Cristo per seguire la legge di Mosè o uno dei tanti insegnamenti umani, come posso pensare che lo possa fare qualcun altro, o meglio, come posso lasciare che qualcuno dei miei fratelli segua una via che io per primo ritengo non porti affatto alla salvezza.

Come vedete, per chi crede in Cristo non vi può essere nessun’altra strada per raggiungere la salvezza se non tramite Cristo stesso, e quella via passa solo attraverso la fede personale di ogni uomo in Cristo.

Chi afferma che il sacrificio di Cristo ha salvato ogni uomo dice una grande verità, ma la grazia di Cristo non è, contrariamente a quanto affermano alcuni, “sparsa a pioggia” sui credenti e sui non credenti.

Le Scritture ci dicono che la grazia di Cristo è data ad ogni singolo uomo, senza distinzione di razza, sesso o paese di provenienza, ma a condizione che creda in Cristo e lo accolga come il suo personale salvatore.

Alla luce della scrittura, il concetto che il non credente che conduca una vita rispettosa del prossimo e che non faccia male a nessuno, si guadagna il paradiso, è errato come lo è il concetto di salvezza per mezzo delle opere;

in realtà si tratta proprio una riproposizione dello stesso principio fatto in modo più subdolo e sottile: non è la mia fede personale in Cristo che mi salva, visto che in questo caso siamo di fronte a un non credente, ma il fatto che questo non cristiano operi bene nella sua vita, cioè non è la mia fede a salvarmi ma le opere che compio!

Non ci facciamo ingannare fratelli da questa teologia delle opere così ben mascherata dietro una facciata di profondo rispetto per la diversità, chi se ne serve, ancora una volta, non lo fa per amore fraterno ma per altri scopi meno nobili e più legati al potere terreno.

La CCR istituzione, purtroppo, ancora una volta ripropone questa dottrina delle opere salvifiche per giustificare il suo ruolo “universale” di unica intermediatrice della salvezza.

Si tratta tuttavia di una teologia doppiamente pericolosa perché: primo, induce i credenti a pensare che non sia Cristo a salvare ma le opere che ognuno compie;

secondo, i non credenti sono a loro volta erroneamente indotti a pensare che non occorra convertirsi a Cristo per essere salvati, ma che, per essere salvati, basti continuare nella loro presente condizione facendo qualche opera buona.

Ma se noi amiamo veramente il nostro fratello che ancora non crede in Cristo, sia esso ateo, buddista o indù, noi dovremo invece portargli la parola di Cristo perché così Cristo stesso ci ha insegnato: “andate in tutto il mondo e predicate il mio evangelo”.

La Chiesa ha il compito di portare la parola di Cristo agli uomini perché essi si convertano a Cristo e siano da lui salvati; se noi siamo cristiani sappiamo di essere salvati per sola grazia mediante la nostra fede in lui, ma se noi teniamo solo per noi la parola salvifica di Cristo perché diciamo oggi: “non vogliamo prevaricare la fede degli altri” possiamo veramente dirci cristiani?

Se noi ci asteniamo dal predicare l’Evangelo a chi non è cristiano per timore di essere giudicati da questo mondo, osserviamo così facendo il comando di Cristo di predicare il suo evangelo a tutto il mondo perché tutti si convertano e si salvino?

Riflettiamo bene sulla differenza che c’è tra costringere qualcuno a convertirsi a Cristo, come purtroppo si faceva in passato nei confronti dei non cristiani, e il convincere ad accogliere liberamente Cristo come proprio salvatore come egli stesso ci ha insegnato.

Evidentemente non sono la stessa cosa.

L’invito dunque cari fratelli in Cristo, è quello di continuare a proclamare al mondo l’Evangelo di Cristo senza timore e senza farci frenare in questo dagli scrupoli che il mondo sembra avere in proposito.

Ieri erano i missionari che si recavano in giro per il mondo ad evangelizzare i popoli che ancora non conoscevano Cristo, a cominciare proprio dall’apostolo Paolo che viaggiò a lungo per tutto il Mediterraneo per portare Cristo ai pagani, fino ai missionari che hanno operano nei più sperduti angoli dell’Africa;

oggi molti di questi fratelli non ancora cristiani arrivano qui da noi alla ricerca di migliori condizioni di vita.

Che cosa dovremmo fare con loro? Limitarci ad accoglierli dandogli un lavoro e una casa, evitando però accuratamente di parlargli di Cristo per rispettare le loro convinzioni religiose diverse dalle nostre?

O non dovremmo piuttosto parlare loro di Cristo come faceva l’apostolo paolo agli Ebrei non ancora convertiti ed ai pagani di Roma e delle altre regioni dell’impero?

Riflettiamo bene su questo, riflettiamo bene su cosa significa per noi avere fede in Cristo e di conseguenza su cosa potrebbe significare avere fede in Cristo per chi non è ancora cristiano.

Abbiamo veramente il diritto di non predicare Cristo a coloro che non lo conoscono ancora privando così questi fratelli della conoscenza della via che porta alla salvezza?

O peggio ancora, abbiamo noi il diritto di sostituirci a Cristo giudicando noi che anche chi non ha fede in lui sarà salvato in virtù delle opere che egli compirà?

Cosa ne pensate, se l’apostolo Paolo per non “prevaricare la fede dei nostri avi pagani” che pensavano di essere salvati grazie ai culti resi ai vari Giove, Minerva o Mitra, avesse evitato di proclamare l’Evangelo a loro, saremmo contenti noi oggi? Avremmo ugualmente la salvezza se noi avessimo continuato ad adorare quei falsi dei che i nostri lontani avi adoravano?

Cristo è grazia, è salvezza, è vita, ma soprattutto, è libertà di scelta; mai costrizione!

Ogni uomo sulla terra è chiamato ad essere figlio di Dio e fratello in Cristo, la porta è aperta per tutti, basta voler entrare, ma sappiamo che la porta attraverso cui entrare è una sola: “Gesù Cristo”; e la chiave che apre quella porta è anch’essa una sola: “la fede in Gesù Cristo”.

Nessun uomo è quindi escluso dalla grazia di Dio perché Cristo è morto sulla croce per la salvezza di tutti gli uomini; ma nessun uomo sarà costretto ad entrare con la forza così come nessun uomo potrà entrare con l’inganno nel regno di Dio, né comprare il Regno di Dio.

Non saranno perciò le opere a salvare gli uomini né la presunta “grazia a pioggia”, ma solo la fede in Cristo Gesù nostro personale salvatore. AMEN.

Come in cielo anche in terra

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