Sulla bilancia di Dio

Testi: Sal 14:1-3; Filippesi 3:7-11

 

Cari fratelli in Cristo, nel nostro dizionario vi sono delle parole che hanno una radice comune e un’apparente somiglianza, ma il cui significato è molto diverso, il più delle volte opposto; pensiamo ad esempio alle parole “libero” e “libertino”, per comprendere come dalla stessa radice possano svilupparsi piante assai diverse.

Le parole apparentemente simili su cui vi invito a riflettere oggi sono: “giusto” e “giustificato”; riferite ad una persona, la prima ha il significato di “conforme ad equità, cioè di giustizia nel suo ampio significato morale”, la seconda ha il significato di: “dichiarato giusto, privo di colpa o perlomeno scusabile” (definizioni da Treccani).

Quando ci riferiamo ad un credete la differenza dei due termini non è solo letterale, bensì sostanziale, ovvero, per un cristiano essere “giustificato” è cosa ben differente dall’essere “giusto”, e questa differenza ci è ampiamente descritta e spiegata nella Bibbia, affinché ognuno di noi la conosca per non cadere nel grave errore, ossia peccato, di presunzione, che ci porterebbe a subire la pesante condanna di Dio.

Nessun uomo è giusto davanti a Dio, e questo ce lo ricorda il Salmista nel passo proposto oggi: “Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti, non c'è nessuno che faccia il bene, neppure uno”.

Di questo ne erano ben consapevoli anche i grandi uomini di fede del passato, come Abramo che rivolgendosi a Dio diceva: “Io non sono che polvere e cenere” (Ge 18:27) o Giobbe, che ammetteva senza remore: “Ecco, io sono troppo meschino” (Gb 40:4); tutto questo per sottolineare come anche i credenti più devoti e fedeli al Signore non si attribuissero alcun merito davanti a Dio a cagione delle loro azioni.

Allora noi siamo ben consapevoli che quando ognuno comparirà davanti al giudizio del Signore per ricevere il premio della salvezza eterna, non potrà dire: “Io sono qui perché l'ho meritato", o “è grazie alle mie capacità e alle mie buone azioni che ho guadagnato la salvezza”.

Anche le migliori azioni compiute dal miglior credente sarebbero comunque un'opera imperfetta, e pesata da Dio, sarebbe trovata mancante. Davanti a Lui è impossibile conservare un'alta opinione di sé stessi, perché, come ci ricorda il Profeta Isaia: “Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro, tutta la nostra come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via come il vento”. (Is 64:6).

Qual è dunque la soluzione per noi uomini se non possiamo ritenerci “giusti” davanti a Dio?

Ecco che noi possiamo soltanto ricorrere al secondo verbo: “giustificati”; noi che non potremo mai ritenerci giusti davanti a Dio, saremo però giustificati, ossia dichiarati giusti in quanto perdonati da Dio attraverso il sacrificio di Cristo, che ha lavato via le nostre colpe.

Quest’importante differenza, fondamentale per ogni uomo o donna che si avvicina a Dio, deve essere sempre ben chiara ad ognuno di noi, perché è molto facile cadere nell’errore di ritenerci migliori degli altri, e quindi meritevoli, quando con il nostro agire compiamo qualcosa di buono, di meritevole, di giusto, di fronte agli uomini, e quindi di fronte a Dio. Le cd “buone opere” sono il frutto del nostro agire conformemente alla volontà di Dio, quando noi le compiamo, ma è evidente che non è da esse che può dipendere la salvezza eterna, poiché essendo sempre insufficienti, nessuno potrebbe usarle nei confronti di Dio per vantare un credito.

Soltanto quando ci mettiamo nella predisposizione di presentarci davanti al Signore confessando le nostre inadeguatezze, solo allora riceviamo da Lui la giustificazione che colma la nostra ingiustizia e siamo per questo giustificati, e questo solo in virtù dell'opera di Gesù Cristo il quale ha subìto il giudizio che i nostri peccati meritavano. Quest'opera che Egli ha compiuto rende perfettamente giusto chi crede in Lui e gli dà accesso alla presenza di Dio, rivestito per grazia della Sua giustizia. AMEN